
Nella sua ultima inchiesta per la Data Room del Corriere della Sera, Milena Gabanelli ha denunciato come in ambito sanitario i cittadini italiani vengano costantemente “presi in giro da 20 anni“. Un’accusa pesante e documentata e che riguarda i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza. Serve una premessa: i LEA, rappresentano l’insieme di prestazioni sanitarie che ogni Regione italiana è obbligata a garantire gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. Tra i servizi inclusi nei LEA troviamo ad esempio le vaccinazioni, gli screening oncologici, le visite mediche di base e pediatriche, gli esami diagnostici, le visite specialistiche e i ricoveri e gli interventi chirurgici. Dal 2001 è attivo un sistema di monitoraggio nazionale che verifica il rispetto dei LEA da parte delle Regioni, attraverso un set di indicatori aggiornati periodicamente. Questi indicatori coprono tre macro-aree: prevenzione, assistenza territoriale e assistenza ospedaliera. Ogni Regione viene classificata con un colore: verde per chi rispetta gli standard, giallo per situazioni critiche e rosso per le Regioni inadempienti. Ebbene, cosa emerge da questo monitoraggio? E qui vengono i dolori. La nostra Sanità è a pezzi.
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Secondo il monitoraggio approvato l’11 febbraio 2025, e citato da Gabanelli nel suo articolo, le seguenti otto Regioni non raggiungono i livelli minimi di assistenza: Provincia Autonoma di Bolzano, Valle d’Aosta, Liguria, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia. Vediamo ora le cause di queste inadempienze e cosa comportano. Innanzitutto i Piani di Rientro, cioè dei programmi imposti alle Regioni con disavanzi sanitari. L’obiettivo è il risanamento finanziario, ma spesso a discapito dell’offerta assistenziale. Regioni come Abruzzo, Molise, Sicilia e Calabria sono in Piano di Rientro da oltre un decennio, senza risultati soddisfacenti. E questa è una tragica fotografia della nostra Sanità. Una delle conseguenze più gravi dei Piani di Rientro è stato il blocco del turn-over: fino al 2019 non si potevano sostituire i medici e infermieri andati in pensione. Solo tra il 2008 e il 2017, il personale sanitario a tempo indeterminato nelle Regioni sottoposte a Piano di Rientro è diminuito del 16,3%, con una perdita di oltre 32.000 professionisti. Anche i posti letto ospedalieri sono stati drasticamente ridotti. Nelle Regioni in Piano di Rientro si sono persi il 27% di letti in più rispetto al resto d’Italia. Nel 2025, Regioni come Calabria, Campania e Abruzzo sono ancora sotto la soglia minima di 3 letti per 1.000 abitanti.

Cure limitate e disuguaglianze sanitarie: l’impatto reale dei Piani di Rientro
Come denuncia Gabanelli, le Regioni in Piano di Rientro non possono finanziare prestazioni sanitarie aggiuntive. Questo ha comportato per anni l’esclusione da: diagnostica avanzata (es. tomografia ottica, videocapsula endoscopica), trattamenti oncologici innovativi (es. radioterapia stereotassica, adroterapia), farmaci non ancora rimborsati dal SSN. Il risultato? I cittadini con le stesse patologie ricevono cure diverse a seconda della Regione di residenza. Le Regioni inadempienti perdono la quota premiale del SSN (670 milioni di euro nel 2024) e devono aumentare la fiscalità locale. Ad esempio, l’addizionale regionale IRPEF in Calabria può raggiungere l’1,73%, contro l’1,23% della Lombardia, a fronte però di servizi sanitari peggiori. Infatti, i cittadini del Sud continuano a curarsi al Nord: il tasso di fuga raggiunge il 41,6% in Molise, il 24,7% in Calabria e oltre il 21% in Abruzzo. E la speranza di vita alla nascita mostra una differenza di oltre 1,5 anni tra Nord e Sud, segnale tangibile delle disuguaglianze in Sanità nel nostro territorio nazionale.