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I dati economici che smentiscono (in parte) Donald Trump: l’America meglio del resto del mondo

Pubblicato: 14/04/2025 11:44

L’America descritta da Trump, in realtà, non esiste: il Presidente ha ritratto l’aquila Usa come fosse un volatile spennacchiato, umiliato dal mondo. Ma dietro questo racconto da comizio, c’è una realtà fatta di numeri robusti, pubblicati nell’ultimo Indice Gini sulla ricchezza e la crescita mondiali. Dati che – almeno in parte – smentiscono il grido di allarme del presidente.

Gli Stati Uniti non sono affatto un Paese in declino. Al contrario: crescono più velocemente del resto del mondo, hanno stipendi più alti e il loro dominio economico, dati alla mano, non è mai stato così netto. Eppure, c’è un ma: non non tutti ne beneficiano allo stesso modo.

Perché se è vero che l’America è più ricca, questo non significa che quella ricchezza sia redistribuita in modo equo. Lì dove il Pil vola, la forbice sociale si allarga, e a terra restano milioni di lavoratori danneggiati dallo spostamento della produzione in altri Paesi, mentre la finanza e le big tech dettano legge.

Se, quindi, la narrazione di Trump su un’America “vittima” degli altri Paesi e dell’Europa è ampiamente smentita, il conflitto e le divisioni interne al Paese sono reali. Si tratta, ancora una volta, di distinguere fra economia finanziaria ed economia reale. Un problema che esiste in tutto il mondo.

I numeri raccontano un successo… parziale

Nel 2008 il Pil degli Stati Uniti era simile a quello dell’Eurozona: circa 14 mila miliardi di dollari. Oggi è arrivato a 27 mila miliardi. L’Europa, nel frattempo, è rimasta al palo. Anche i salari medi premiano l’America rispetto al Vecchio Continante: negli anni Novanta, uno statunitense guadagnava 10 mila dollari in più della media Ocse. Oggi il divario è salito a 22 mila.

Perfino lo Stato più povero, il Mississippi, vanta un reddito pro capite superiore a quello del Regno Unito, della Francia e – con grande distacco – dell’Italia. Ma anche qui, i numeri vanno letti in trasparenza: perché i cittadini europei godono di un Welfare, per esempio sulla Sanità, che in America non esiste. I costi del Welfare sono in buona parte a carico dei singoli, negli States, e sono costi pesantissimi.

I numeri lascerebbero pensare a un paradiso economico. Ma attenzione: la media è solo un’illusione statistica, come il pollo di Trilussa. Se io mangio due polli e tu nessuno, in media ne abbiamo mangiato uno a testa. Ma la realtà è un’altra. Ecco, l’America oggi è un Paese dove una minoranza mangia troppo, mentre molti devono cavarsela con poco.

La ricchezza c’è. Il problema è la disuguaglianza sociale

La vera questione non è se l’America produce ricchezza – lo fa, eccome – ma come la redistribuisce. Anche in questo caso ad aiutarci a capire è l’Indice di Gini, un parametro fondamentale per cogliere appieno la disuguaglianza sociale. Più il numero è alto, più il divario fra ricchi e poveri è ampio.

Nel 1981, quando iniziava l’era Reagan, l’indice era al 35,5%. Oggi è salito al 41,3%. Più soldi, ma peggio distribuiti. Peggio di noi, peggio della Germania, peggio perfino della Cina. A livelli simili a quelli di Paesi in via di sviluppo come il Messico o l’Argentina.

E allora si capisce perché molti americani si siano sentiti traditi e abbiano scelto di votare Trump. Il sogno americano si è trasformato, per tanti, in un gioco truccato: pochi vincono sempre, gli altri nemmeno partecipano. E Trump ha mandato un messaggio: torniamo a favorire l’economia reale e il lavoro. Soprattutto per questo ha vinto le elezioni. Che poi sia in grado di riuscirci è un altro paio di maniche.

Il populismo come sintomo, non come cura

Donald Trump ha costruito il suo ritorno alla Casa Bianca su questo malessere. Ma, invece di curarne le cause – il malfunzionamento strutturale nella distribuzione del reddito – ha preferito dare la colpa agli altri. Alla Cina, all’Europa, al piccolo Lesotho colpevole di vendere cotone a prezzi bassi.

Un’abile manovra retorica, ma fuorviante. Perché se c’è qualcuno che ha tratto vantaggio dalla globalizzazione, quelli sono proprio gli Stati Uniti. Solo che hanno dimenticato di portare con sé anche gli ultimi della classe media, quelli che lavorano nei magazzini di Amazon, quelli che pagano l’assicurazione sanitaria più cara del mondo, quelli che non vedono un aumento di stipendio da anni. E che alla fine hanno scelto chi prometteva di proteggerli.

Una potenza economica spaccata in due

Trump ha intercettato un disagio vero. Ma le sue soluzioni protezioniste, fra dazi, attribuzione di colpe esterne e guerre di posizione, rischiano di peggiorare la situazione. Perché la vera battaglia non è contro l’Europa o la Cina. È dentro casa. E quella battaglia, per ora, l’America la sta perdendo.

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