
Il silenzio era stato rotto solo dai rumori dei soccorritori e dai lamenti di chi scavava a mani nude. Poi, all’improvviso, la scossa. Forte, improvvisa, lunga. Qualcuno ha gridato, molti si sono inginocchiati a terra, altri hanno ripreso a correre lontano da quelle case che non esistono più. L’odore di polvere e di cenere è tornato nell’aria come un monito, come se il suolo stesso volesse ricordare che non ha ancora finito.
Tra le rovine si cerca ancora. Con gli occhi, con le mani, con le macchine. Si cerca chi potrebbe essere rimasto sepolto, nascosto da giorni sotto ciò che resta di una città. E mentre il bilancio dei morti sale, cresce anche il peso dell’attesa: ogni minuto è tempo rubato alla speranza.

Una nuova forte scossa di terremoto, di magnitudo 5,6, è stata registrata a 34 km da Meiktila, nella regione di Mandalay, in Myanmar. La terra ha tremato ancora mentre sono ancora in corso le ricerche per trovare le vittime del devastante sisma del 28 marzo, quando una scossa di magnitudo 7.7 ha colpito la zona provocando almeno 3.500 morti, secondo un bilancio ancora provvisorio.
Per facilitare le operazioni, l’esercito indiano ha messo in campo cani robot in grado di arrampicarsi fino a tre metri di altezza, sollevare carichi tra i 15 e i 30 kg e resistere a temperature estreme fino a -40 gradi. Insieme a loro, per la prima volta, vengono impiegati anche droni ad alta precisione. La tecnologia corre per provare a salvare chi è ancora vivo, sotto le macerie.