
Dietro l’apparente calma diplomatica, tra i velluti di via Veneto e i silenzi strategici di Palazzo Chigi, si muove un dossier esplosivo. Lo ha rivelato in esclusiva il Giornale d’Italia: Donald Trump sarebbe pronto a ridurre i dazi contro l’Italia, ma ha messo sul tavolo tre condizioni molto chiare. E per Giorgia Meloni, in vista del viaggio a Washington, la posta in gioco è alta: non si tratta solo di commercio, ma di identità geopolitica.
Il prezzo della fedeltà atlantica: aumentare la spesa NATO
Il primo diktat arriva sulla questione della Nato. Trump pretende che l’Italia porti al 2% del PIL il proprio contributo all’Alleanza, come previsto formalmente, ma mai realmente rispettato da gran parte dei Paesi membri. Per lui non basta: serve un gesto plateale, una dimostrazione di fedeltà atlantica incondizionata.
Il problema è che a Roma si fanno già i conti con una legge di bilancio in apnea e una sanità pubblica che annaspa. Aumentare la spesa militare in questo contesto è un atto politicamente rischioso. Ma ignorare la richiesta americana potrebbe significare qualcosa di peggio: l’isolamento geopolitico.
Lo scontro con la Cina passa per l’Italia
Il secondo punto è un diktat per risolvere le ambiguità italiane con Pechino. Undici “stazioni di polizia” cinesi sul suolo nazionale, ufficialmente centri culturali, sono finite nel mirino di Washington. Per Trump non sono altro che avamposti dell’influenza cinese in Europa.

La richiesta è netta: smantellarle. E non solo. L’Italia deve sganciarsi dai legami strategici con Pechino, il che potrebbe mettere in crisi le aziende italiane ancora molto legate al mercato cinese. D’altronde, quando si gioca nel campo degli equilibri globali, ogni passo è una scelta: o con l’Occidente o con l’Oriente.
Comprare americano: petrolio e armi made in Usa
Terza condizione: più energia e più difesa a stelle e strisce. Roma deve acquistare più petrolio americano e aumentare gli ordini di armamenti prodotti negli Usa. Dietro la formula dell’“alleanza rafforzata”, si nasconde una richiesta commerciale travestita da cooperazione strategica. Un’operazione da miliardi, che coinvolgerebbe ENI, Leonardo, e tutto il comparto industriale nazionale.
La strategia di Meloni: equilibrio sul filo del rasoio
Giorgia Meloni lo sa: Trump è un alleato instabile ma potente. E rispondere sì a tutto rischia di rompere equilibri fragili con Berlino, Parigi e Bruxelles. Il suo piano è quello dell’equilibrista: sì alla Nato, ma senza strepiti, sì al controllo dei centri cinesi ma senza chiuderli formalmente, e sì agli affari con Washington, ma con un dosaggio politico che eviti l’effetto domino sul fronte interno.
Per ora, la diplomazia italiana si muove con discrezione. Ma lo scenario è chiaro: non è solo una partita economica, ma la ridefinizione del ruolo dell’Italia nel grande risiko globale. Tra spinte americane, resistenze cinesi e silenzi europei, il viaggio della premier a Washington sarà molto più che una visita ufficiale. Sarà una prova di forza. O forse, una partita a scacchi in cui Roma dovrà evitare di finire tra le pedine sacrificate.