
Elisa Roveda non andrà a processo per l’omicidio del figlio Luca, di appena undici mesi. Il Gup di Pavia ha stabilito che, al momento del fatto, la donna non era in grado di intendere e volere. A determinare questa conclusione è stata la perizia psichiatrica condotta durante l’udienza preliminare, che ha evidenziato una forma acuta di depressione post partum.
Il tragico episodio risale al 14 luglio 2023, quando nel silenzio della loro casa di Voghera, Elisa Roveda rimase sola con il piccolo Luca e, secondo gli inquirenti, lo soffocò con un cuscino. Quando arrivarono i soccorritori, per il neonato non c’era più nulla da fare. La madre, all’epoca 44enne, affermò di non ricordare nulla. La ricostruzione clinica ha poi chiarito che la sua mente era offuscata da una grave crisi psichiatrica.
Nonostante la richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura, il giudice ha optato per il proscioglimento, riconoscendo l’incapacità di intendere e volere come causa determinante. Una decisione che, pur rispettando la legge, riapre inevitabilmente il dolore di chi ha vissuto da vicino la tragedia.
«Sono morto anch’io quel giorno» ha detto Maurizio Baiardi, padre del piccolo Luca, devastato da un senso di colpa per aver lasciato il figlio con una donna che, a suo dire, «non stava bene». Una condizione psichica conosciuta, ma che non aveva mai lasciato presagire esiti così estremi.
La vicenda rilancia il dibattito sul sostegno psicologico nel post partum, spesso sottovalutato, e sull’importanza di non lasciare sole le madri che manifestano sintomi anche lievi di malessere mentale. L’epilogo giudiziario chiude un capitolo legale, ma il vuoto lasciato da Luca resta incolmabile. E riporta al centro dell’attenzione il tema, troppo spesso taciuto, della salute mentale materna.