
Una recente sentenza della Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che, dal punto di vista legale, il termine “donna” si riferisce unicamente a chi è nato biologicamente di sesso femminile. La decisione esclude le donne transgender, anche se in possesso di un certificato di riconoscimento di genere, dal pieno riconoscimento giuridico come donne.
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Le reazioni: tra delusione e accuse di discriminazione
La sentenza ha scatenato un intenso dibattito a livello internazionale, coinvolgendo attivisti, politici e opinione pubblica. Tra le voci più critiche figura quella di Valentina Petrillo, atleta paralimpica italiana e prima donna transgender a partecipare alle Paralimpiadi.

«Non è giusto che subiamo queste cose per il solo fatto che esistiamo. Nel mondo si muore per essere persone trans», ha dichiarato in un’intervista, esprimendo profonda amarezza. Petrillo ha sottolineato l’importanza dell’autodeterminazione e la necessità di superare le barriere imposte dalle classificazioni di nascita, spesso in contrasto con l’identità di genere vissuta.
Il caso Petrillo e le parole di J.K. Rowling
Pur essendo legalmente donna dal 2021, Petrillo non può partecipare alle gare femminili in quanto atleta transgender. Una condizione di esclusione che ha suscitato polemiche, acuite dalle dichiarazioni di J.K. Rowling, che ha definito Petrillo una “cheat” (imbrogliona), paragonandola ad atleti squalificati per doping. Le sue parole su X (ex Twitter) hanno alimentato ulteriori tensioni: «Gli imbroglioni conclamati come Petrillo provano anche che l’epoca dello cheat-shaming è finita».
“Non bisogna aver paura di me”
Petrillo ha replicato con determinazione alle critiche ricevute: «Non bisogna aver paura, è la cosa che mi dà più fastidio. Le persone non devono aver paura di me, non faccio del male a nessuno». Ha poi raccontato le difficoltà della transizione, evidenziando gli effetti fisici ed emotivi vissuti: «Il mio metabolismo è cambiato completamente. Mentalmente, tutto era diverso. Ho iniziato ad avere una sensibilità molto maggiore». Il caso solleva interrogativi profondi su diritti civili, identità di genere e inclusione nello sport, evidenziando come le parole e le decisioni delle istituzioni possano influenzare direttamente la vita delle persone.