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Difendere l’Ucraina oggi significa onorare davvero il 25 aprile

Pubblicato: 25/04/2025 09:37

Ogni 25 aprile ci interroghiamo su cosa significhi davvero celebrare la Resistenza. Ogni anno riaffiorano le stesse parole, gli stessi discorsi, gli stessi gesti: le corone, le bandiere, gli inni. Ma il rischio, sempre più concreto, è che questa ricorrenza si svuoti, che si trasformi in un rito commemorativo senza memoria attiva, in un’abitudine che non interroga più il presente.

Eppure il 25 aprile non è solo il giorno della fine dell’occupazione nazifascista e della rinascita repubblicana. È anche, e soprattutto, il giorno in cui una parte dell’Italia scelse da che parte stare. Una parte dell’Italia, e non tutta: perché la Resistenza fu scelta, fu coraggio, fu dissidenza rispetto a un ordine che sembrava inevitabile. Non fu un destino, ma una decisione. E fu proprio questo, a renderla una pagina fondativa della nostra storia.

Oggi ci troviamo di fronte a un conflitto che non possiamo relegare alla cronaca estera. La guerra in Ucraina non è lontana da noi. Non lo è geograficamente, perché si combatte in Europa. Non lo è politicamente, perché riguarda il futuro dell’intero continente. Ma soprattutto non lo è moralmente: perché interroga la nostra coscienza con la stessa urgenza con cui lo fece, ottant’anni fa, la scelta tra la dittatura e la libertà.

La memoria non serve a consolarci, ma a schierarci

Per questo, chi crede nei valori del 25 aprile non può permettersi di ignorare la resistenza ucraina. Non può considerarla un fatto “altrui”. Non può adottare una comoda posizione equidistante, come se ci trovassimo davanti a due eserciti equivalenti, a una guerra tra potenze, a un conflitto da osservare senza esporsi. Perché questa guerra è una guerra di aggressione. E la resistenza che si è organizzata in Ucraina è, nei fatti, una nuova Resistenza europea.

Lo ha scritto con lucidità Vittorio Emanuele Parsi su Il Foglio: “La libertà ritrovata con il 25 aprile non fosse solo il frutto delle decisioni delle campagne alleate, ma anche della consapevolezza morale, prima ancora che politica e militare, di un popolo che con il fascismo e le sue violenze e tragiche guerre di aggressione aveva perso anche l’onore”.

Ecco il punto. L’onore. La dignità. Valori che si difendono solo quando si è disposti a pagarne il prezzo. Non si tratta solo di solidarietà, né di geopolitica. Si tratta della nostra identità di europei liberi. Di quel patto morale che lega chi ha conosciuto l’oppressione e non vuole più rivederla camuffata da “realismo”.

Oggi come allora, la guerra non è una scelta. Lo è la resa. E lo è anche l’indifferenza. Lo sono la complicità, la stanchezza, il cinismo. L’idea che “non ci riguarda”. L’idea che “non è affar nostro”. Ma ogni volta che un popolo combatte per difendere la propria libertà, ci riguarda. Ogni volta che una democrazia viene attaccata, ci riguarda. Ogni volta che si decide tra libertà e schiavitù, siamo chiamati a scegliere.

L’Ucraina non è perfetta, ma è nel giusto

Chi cerca scuse per non parteggiare — l’imperfezione del governo ucraino, le ambiguità del nazionalismo, il ruolo della NATO — tradisce la verità più semplice: che tra chi aggredisce e chi resiste non c’è simmetria. Che l’Ucraina non è perfetta, ma è nel giusto. E che questa distinzione è la stessa che fecero i nostri padri quando salirono in montagna. Non perché l’Italia liberata fosse perfetta, ma perché l’Italia fascista era inaccettabile.

Parsi lo scrive senza equivoci: “Chi cessa la via dei morti non lo fa nella certezza che il nazifascismo sarebbe stato sconfitto, ma nell’urgenza di partecipare alla lotta per la sua sconfitta”. La Resistenza non fu garantita dal successo. Fu nobile proprio perché incerta, fragile, minoritaria. Come lo è oggi la resistenza di un popolo europeo che affronta un impero armato, deciso a cancellarne l’indipendenza.

L’Europa è chiamata a scegliere

È anche per questo che l’Europa non può restare alla finestra. Ogni esitazione, ogni ambiguità, ogni compromesso di convenienza mina alle radici il progetto europeo. L’Unione non è solo un mercato. È una promessa: che mai più la guerra, che mai più le dittature, che mai più il disprezzo per la libertà altrui. Ma questa promessa oggi si difende sul campo, con armi, coraggio e alleanza.

Ecco perché è decisivo riconoscere il 25 aprile anche nel volto di chi oggi combatte a Kharkiv, a Bakhmut, a Odessa. Perché la memoria, se non è impegno, è solo nostalgia. Perché il coraggio di chi resiste non può restare senza eco. Perché se oggi l’Europa voltasse le spalle all’Ucraina, tradirebbe non solo un popolo, ma se stessa.

Difendere l’Ucraina oggi non è una scelta tra destra e sinistra. È una scelta tra civiltà e barbarie, tra diritto e violenza, tra libertà e dominio. È la scelta che fecero i partigiani, i perseguitati, i soldati disertori, i cittadini che nascosero ebrei, che ospitarono fuggiaschi, che rifiutarono la collaborazione con il male. È la stessa scelta.

E allora, se vogliamo davvero che il 25 aprile non sia solo un rito di primavera, iniziamo a chiamare Resistenza quella che oggi si compie sotto le bombe. E chiamiamo libertà anche la nostra capacità di riconoscerla.

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