
«Vika era così. Capace di fare scenate se cambiavi un suo pezzo, poi spariva per settimane e tornava con una scatola di dolci». A raccontarlo è Sevgil Musaieva, direttrice di Ukrainska Pravda, che ha ricevuto per prima la conferma che quel cadavere martoriato, riconsegnato dai russi, era proprio quello di Viktoriia Roshchyna. Una delle reporter più coraggiose del giornalismo ucraino, 27 anni, amava la boxe, il caffè e il rischio. Ha pagato con la vita la scelta di raccontare la guerra da dentro.
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Roshchyna era stata già catturata una prima volta dall’Fsb nel marzo 2022, durante un viaggio tra Berdiansk e Mariupol. Fu liberata solo dopo aver registrato un video forzato in cui ringraziava le forze russe. Ne uscì provata, ma non domata. Nell’estate del 2023 decide di tornare dietro le linee nemiche. Lo fa da sola, contro il parere di tutti, compresa Musaieva: «Diceva che doveva andare perché nessun altro lo faceva». Né le raccomandazioni del padre, né il ritiro del sostegno da parte della sua testata principale riescono a fermarla.

L’ultimo viaggio inizia il 25 luglio 2023. Viktoriia lascia l’Ucraina, passa per Polonia, Lituania, Lettonia e infine entra in Russia. È diretta verso Enerhodar, nei pressi della centrale nucleare di Zaporizhia. Qui affitta un appartamento, usa più telefoni, invia file criptati e autodistruttivi. Ma il 3 agosto sparisce. I russi l’arrestano e la trasferiscono prima a Melitopol, dove cominciano le torture, poi nel famigerato carcere di Taganrog, noto come Sizo 2.
Vika viene portata prima a Melitopol. La torturano nel «garage», un centro di smistamento di prigionieri. E lì — raccontano i testimoni, altri prigionieri sentiti da Forbidden Stories — subisce torture di ogni tipo: scosse elettriche, pugnalate, botte. Poi viene trasferita a Taganrog. Qui, viene detenuta in un centro di detenzione preventiva noto come Sizo 2. «Quando è arrivata era piena di ogni tipo di droghe, poi praticamente iniziato a impazzire», racconta un altro testimone. Nelle stanze di tortura di quel carcere, soldati e civili vengono sottoposti a waterboarding, percossi e sottoposti a scosse elettriche sulla sedia elettrica. Una volta fuori dalle celle, sono costretti ad assumere una posizione stressante nota come “del cigno”: piegati in avanti con le mani giunte dietro la schiena all’altezza del petto. Il cibo viene severamente razionato, con quattro cucchiai e mezzo per piatto. Per Roshchyna, l’effetto è catastrofico. Smette di mangiare. «Le parlavamo, ma era persa nei suoi pensieri, con gli occhi terrorizzati», ricorda una sua compagna di cella.

Il suo peso scende a 30 chili. Il padre riesce a parlarle al telefono. Nell’aprile 2024, dopo quasi otto mesi senza notizie, le autorità russe e il Comitato Internazionale della Croce Rosse confermano la notizia dell’arresto di sua figlia. Poi, riceve una telefonata di quattro minuti dalla figlia in cui prova a convincerla a mangiare. «Nel frattempo avevo saputo da mie fonti che Vika avrebbe dovuto essere rilasciata il 13 settembre», spiega Musaieva. Ma il 10 ottobre, la caporedattrice riceve una chiamata dal padre di Roshchyna.
Ha ricevuto una lettera dalle autorità russe che gli comunicano la morte della figlia. Poi, più niente. Le autorità russe negano perfino che Vika sia stata detenuta a Taganrog. Fino al 14 febbraio scorso, quando analizzando le liste dei corpi scambiati, gli intermediari della Croce Rossa Internazionale in una lista in fondo all’ultima pagina, vedono una voce misteriosa: «NM SPAS 757». Un’abbreviazione che sta per «uomo non identificato» e «danni estesi alle arterie coronarie». Gli organi sarebbero stati asportati per nascondere i segni delle torture.