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L’ombra di Trump sul Conclave: forti pressioni dalla Casa Bianca

Pubblicato: 30/04/2025 07:41

«Mi piacerebbe essere Papa, sarebbe la mia scelta numero uno», ha detto Donald Trump davanti a un manipolo di giornalisti, sfoggiando il consueto sorriso che mescola provocazione e autocompiacimento. Un’altra battuta, verrebbe da pensare. Eppure, questa volta, il contesto amplifica la portata della frase: alle spalle dell’ex presidente americano, nel giardino della Casa Bianca, si staglia l’ombra del prossimo conclave, che è alle battute d’avvio.

Per qualcuno, è solo l’ennesima trovata da showman. Per altri, è l’anticipazione di uno scenario più profondo: l’influenza del trumpismo sulle dinamiche della Chiesa cattolica e, più in particolare, sulla scelta del successore di Papa Francesco.

Quando Trump cita il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, con quella disinvoltura che mescola politica e religione («Non ho preferenze, ma abbiamo un ottimo cardinale da un posto chiamato New York») il messaggio è chiaro: una parte dell’America cattolica sogna un Papa più allineato ai valori conservatori.

Non è una novità che il pontificato di Francesco abbia spiazzato (e in certi casi irritato) una fetta consistente dell’episcopato statunitense. Migrazioni, cambiamento climatico, sinodalità, apertura alle donne e agli omosessuali: temi che, per alcuni ambienti cattolici a stelle e strisce, suonano più come provocazioni che come segni di rinnovamento.

Il cardinale Raymond Leo Burke, figura chiave dell’opposizione interna, insieme allo stesso Dolan, è sostenuto da una galassia ben strutturata: fondazioni, think tank, lobby ecclesiali che parlano il linguaggio della destra religiosa e politica americana, quella che ha fatto di Trump un messia secolare.

Questi ambienti, noti anche come “MAGA Catholics”, non nascondono l’obiettivo: riplasmare la Chiesa attorno a valori più rigidi in materia di dottrina morale, bioetica, e gerarchia interna. Dolan, dal canto suo, è stato vicino a Trump in numerose occasioni pubbliche, offrendo la sua benedizione in più di un senso.

Ma il fronte conservatore americano non è l’unica voce nel coro ecclesiastico d’Oltreoceano. A bilanciare ci sono figure come Robert Walter McElroy, cardinale progressista e vicino a Papa Francesco, o Wilton Gregory, primo cardinale afroamericano, che ha fatto della giustizia sociale e dell’inclusione il fulcro del proprio operato. Blase Cupich a Chicago e James Tobin a Newark completano il quadro di un’episcopato tutt’altro che monolitico, dove la guerra di idee è aperta, e spesso silenziosamente feroce.

A livello globale, il fronte tradizionalista ha altri nomi da giocarsi. Oltre a Burke, si guarda a Robert Sarah (Guinea) o Péter Erdő (Ungheria), entrambi esponenti di un cattolicesimo più rigido e meno propenso ai dialoghi interculturali avviati da Francesco.

Un conclave influenzato anche indirettamente da logiche trumpiane cambierebbe radicalmente l’agenda vaticana. Si profilerebbe un atteggiamento più aggressivo verso la Cina, un possibile raffreddamento dei rapporti con l’Islam moderato, e una virata a destra anche nei rapporti con l’Europa.

Il prossimo Papa non sarà deciso da Donald Trump, ma l’idea che la politica americana cerchi di “orientare” le scelte ecclesiastiche non è affatto peregrina. In un mondo dove la religione è tornata a essere campo di battaglia ideologica, anche il conclave diventa terreno di scontro, e il Vaticano uno spazio da conquistare — almeno con le parole.

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Ultimo Aggiornamento: 30/04/2025 07:45

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