Nel silenzio di una camera semplice, tra muri che avevano ascoltato ogni sua preghiera, il tempo ha smesso di battere per la donna che aveva visto il mondo cambiare mille volte. Non c’era nulla di solenne in quel momento, se non la quiete che accompagna le cose inevitabili: un ultimo respiro, gli occhi chiusi come se dormisse ancora un po’, come ogni giorno, prima dell’alba.
Le consorelle hanno detto che se n’è andata serenamente. Nessuno ha alzato la voce. Nessuna lacrima ha fatto rumore. Solo una luce lasciata accesa più a lungo, solo il passo lento delle giovani suore che per anni avevano imparato da lei a non avere fretta. Aveva vissuto in quel collegio per decenni, tra i corridoi che odoravano di libri e cera, e nella piccola cappella dove il tempo si piegava, ogni giorno, alla stessa liturgia.

Una vita lunghissima tra fede, scuola e silenzio
Il suo nome era Inah Canabarro Lucas. La persona più anziana del mondo, riconosciuta ufficialmente nel gennaio scorso dopo la scomparsa della giapponese Tomiko Itooka, aveva raggiunto i 116 anni. L’annuncio della sua morte è arrivato dal Collegio di Santa Teresa del Gesù di Porto Alegre, in Brasile, dove la religiosa ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, circondata da quella comunità che per lei era ormai da tempo una seconda pelle.
Era nata l’8 giugno 1908, o forse il 27 maggio, come amava raccontare. La sua nascita, come molte in quegli anni remoti, era rimasta sospesa tra le date, tra il detto e lo scritto. Il suo corpo, da bambina, era fragile come carta velina: così minuta che i vicini la davano per spacciata. Ma lei cresceva, lentamente, giorno dopo giorno, sfidando ogni previsione come avrebbe fatto per il secolo e oltre che le stava davanti.
Da Montevideo a Rio, l’insegnamento come missione
Discendente del generale David Canabarro, eroe della guerra dei Farrapos, figlia di João Antônio Lucas e Mariana Canabarro Lucas, era cresciuta in un Brasile rurale e ancora attraversato da cavalli e lettere scritte a mano. Il suo destino sembrava legato alla terra, alla famiglia, al tempo contadino. Ma l’incontro con le suore teresiane le aveva aperto un altro orizzonte: quello della vocazione.
Il primo passo fuori dalla sua terra l’aveva portata a Montevideo, in Uruguay. Era il 1928. Nel collegio delle suore, tra le aule e il silenzio delle meditazioni, aveva preso i voti e scelto il nome che avrebbe portato per sempre. Poi il ritorno in Brasile, nel 1930, per insegnare portoghese e matematica nel quartiere Tijuca di Rio de Janeiro, in una scuola che ancora oggi porta il segno di quella pazienza antica che la distingueva.
Negli anni ’40 aveva fatto ritorno a Sant’Ana do Livramento, il luogo delle sue origini, ma non più come figlia: ora era maestra, guida, testimone. Aveva visto generazioni passare davanti alla cattedra, alzarsi timide per leggere, spegnersi in sorrisi imbarazzati davanti a un errore. Nessuno dimenticava quella voce sottile, quasi impercettibile, che sembrava venire da un’altra epoca.
Inah Canabarro Lucas, la suora dei tre secoli
Non aveva mai cercato la notorietà. Eppure, negli ultimi mesi, quando i media hanno cominciato a parlarne come della donna più longeva del mondo, lei aveva sorriso con tenerezza. “Non sono io ad essere straordinaria”, aveva detto una volta, “è il tempo che mi ha lasciato in pace”. Una frase che sembrava quasi un verso, e che oggi le consorelle custodiscono come un testamento.
Nel collegio di Porto Alegre dove ha vissuto i suoi ultimi anni, la chiamavano semplicemente “la nostra luce”. Era diventata un riferimento silenzioso, una forma di presenza che rassicurava. Non parlava molto, ma sapeva ascoltare. E quando sorrideva, sembrava che tutto rallentasse.
Le suore teresiane l’hanno salutata con parole dolci, scrivendo che “la sua eredità trascende il tempo”, e che “rimarrà viva nella storia dei Colégios Santa Teresa”. Una storia che oggi perde la sua testimone più longeva, ma conserva intatto quel filo sottile che unisce la fede alla memoria.
Inah Canabarro Lucas è stata, per chi l’ha conosciuta, molto più di un record anagrafico. Era un ponte tra tre secoli, tra guerre e rinascite, dittature e libertà, tra inchiostro e bit. Ha vissuto tutto, ma con la delicatezza di chi non ha mai voluto dominare il tempo, solo accompagnarlo.
Nel suo ultimo giorno, dicono le consorelle, il cielo su Porto Alegre era limpido. Nessuna nuvola. Solo un vento lieve che sembrava venuto da molto lontano.