
Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, è stato ricoverato al Policlinico Gemelli il 14 febbraio. Dopo una lunga degenza, quando sembrava ancora sofferente ma migliorato, è morto nella sua residenza di Santa Marta il 21 aprile, Lunedì dell’Angelo. Per quanto Bergoglio fosse molto anziano, lo storico dell’America Latina Loris Zanatta non poteva immaginare che il suo saggio Bergoglio. Una biografia politica (Laterza, 2025) sarebbe arrivato nelle librerie – a febbraio – in circostanze così particolari. C’è da chiedersi se, consapevole, avrebbe scelto un tono diverso per scrivere una biografia che non è esattamente una biografia, bensì un pamphlet biografico antibergogliano.

Difficoltà
Lo stesso autore avverte che scrivere «una storia politica di Bergoglio è quasi impossibile. Dove stanno le carte, la materia prima dello storico? Salvo poche cose, sono inaccessibili, secretate». Insomma, c’è «poco o niente» sui cui lavorare. «È come pescare un’anguilla con le mani». «Perché farlo, allora? Perché – si chiede Zanatta – non lasciare il compito agli storici del futuro? Per due motivi», si risponde. «Il primo è che, eletto papa, Bergoglio è nella storia e la sua storia interessa ai contemporanei. Il secondo è che le biografie esistenti coltivano l’apologia più della storiografia». È convinto, Zanatta, che questi testi «distorcono il contesto storico, ne danno un’immagine mistificata. Alcune rasentano il culto della personalità», che forse non dispiaceva al suo carattere.
Quello che è stato definito il “papa degli ultimi”, venuto “dalla fine del mondo”, sarebbe stato in realtà una persona ben diversa da come è stata percepita, o raccontata, «una personalità poliedrica, spesso indecifrabile. Una personalità “gesuitica”, affascinante o irritante a secondo dei gusti e delle sensibilità». Zanatta, confessandosi non credente, non è affascinato, piuttosto irritato. E bene fa a dichiararsi tale, a scanso di equivoci. Un’onesta avvertenza dovuta ai lettori. I quali potrebbero essere sconcertati ma, sapendolo, possono fare la tara di questo libro, che peraltro – in attesa delle “carte” – non pretende di dare un giudizio definitivo. Si limita, sulla base delle fonti disponibili, a ricostruire il percorso intellettuale e politico dell’argentino Bergoglio.

Gesuita e argentino: le parole chiave
Gesuita e argentino. In fondo sono queste le parole chiave per immergersi in queste pagine. Certo, Bergoglio è di origine italiana, come più o meno la metà degli argentini. Ma, a parte la nostalgia familiare per la bagna cauda, agli argentini di italiano – culturalmente – resta veramente poco, soprattutto per quanto riguarda il modo di vivere la fede cattolica. Approdati alla “fine del mondo”, non potevano che assimilare – al di là della lingua spagnola – il cattolicesimo secondo il modello gesuita.
In fondo tutto comincia nel 1549, quando cinque membri dell’ordine creato da Ignazio di Loyola sbarcano nell’America del Sud con l’obiettivo di evangelizzare i nativi. Tra altri e bassi, nel contesto della colonizzazione portoghese e spagnola, tra gli attuali Brasile, Uruguay, Paraguay, Argentina e Bolivia, incrociarono i guaranì. Da nomadi li trasformarono in stanziali. Ne scrissero la lingua parlata. Li fecero contadini. Li convertirono. Ne fondarono le reducciones, villaggi agricoli gestiti dai cacicchi eletti, una sorta di piccole repubbliche autonome, ai cui vertici, tuttavia, era sempre e soltanto un gesuita, nel nome di Dio. Di fatto erano piccole teocrazie. Se in Europa i gesuiti consigliavano i sovrani, in America Latina governavano.
Alla “fine del mondo” politica e religione erano strettamente connesse. In quel brodo di cultura nasce Bergoglio. In quella cultura il popolo è di Dio. E a guidarlo sono le gerarchie ecclesiastiche. Non sempre ci riescono, ma sempre ci provano. In Argentina, soprattutto. Dove si afferma la teoria nazionalpopulista, contraria all’illuminismo, al laicismo, al relativismo all’individualismo, al libero mercato, alla modernità, alla globalizzazione. Ne deriva la concezione del popolo come sovrano di cui le gerarchie ecclesiastiche sono portavoce. Il popolo, non gli individui, ha sempre ragione. Nasce la mitologia del “cattolicesimo nazionale”. L’Argentina esiste in quanto “nazione cattolica”. Ed è un concetto politico, non ecclesiale, né teologico.

La complessità della storia dell’Argentina e di Bergoglio
Impregnato di questa cultura Bergoglio attraversa tutte le stagioni del peronismo, dell’evitismo (da Evita Duarte de Perón) che ne deriva, e della dura dittatura dei generali, del neoperonismo, dell’antiamericanismo radicale, dell’antioccidentalismo altrettanto estremo, dell’isabelismo (da Isabel Martínez de Perón), del Menem cattolico peronista/liberista, tra crisi politiche e catastrofi economiche, senza dimenticare le divisioni interne alla Compagnia di Gesù e la teologia della liberazione, la frattura del peronismo, i gesuiti “deliranti”, la guerriglia dei Montoneros, le simpatie castriste e persino gheddafiane.
Storia complessa quella dell’Argentina. Parimenti complessa quella personale, intellettuale e politica del futuro Papa. Zanatta la ricostruisce nei dettagli, puntigliosamente. Ma senza le “carte” è difficile considerarla affidabile. È l’affresco di una vita intrigata e spesso contraddittoria. Talmente complessa che è difficile trarne un giudizio. Piuttosto ne nascono interrogativi.
D’altra parte di Francesco Papa si è detto tutto e il suo contrario. È stato un “progressista” o un “conservatore”? Ma sotto quale profilo? Sono categorie ambigue anche in senso strettamente politico, talmente ambigue che Francesco è stato considerato sia di destra sia di sinistra, a un tempo tradizionalista, centralista e universalista. Ancor più ambigue lo sono sotto quello teologico.

Il giudizio futuro
A quale predecessore si è ispirato? A Papa Giovanni? A Paolo VI? Ma il Concilio è stato compreso in Argentina? A Giovanni Paolo II? Forse il cattolicesimo popolare polacco? A Benedetto XVI? Ma quale sintonia poteva esistere tra un teologo tedesco e un gesuita in poncho? Forse a tutti e a nessuno. È piovuto dalla fine del mondo come un ciclone. Verrà il tempo per giudicare. E anche per capire quale sia stata la vera ragione del suo mancato ritorno a Buenos Aires. Era il “portavoce del popolo”, ma non ha voluto ri–abbracciare il suo popolo.
Le “carte”, un giorno, forse, parleranno. Per ora è disponibile questa cronaca dell’Argentina “bergogliana”, nella quale è talvolta protagonista, talvolta comprimario, e talvolta anche vittima.