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Il tesoro del Vaticano, da dove viene il patrimonio: con Francesco è cambiato tutto

Pubblicato: 05/05/2025 15:32

È morto nel giorno del Lunedì dell’Angelo, il 21 aprile, Papa Francesco, lasciando dietro di sé un’eredità spirituale imponente, ma anche una macchina finanziaria da rimettere in carreggiata. Un Papa considerato “pauperista”, che ha saputo agire con rigore contabile su uno degli Stati più ricchi del mondo, per patrimonio mobiliare e immobiliare. Un tesoro silenzioso, disseminato tra palazzi, donazioni, fondi e partecipazioni, gestito oggi con criteri ben diversi.

Secondo quanto ricostruito dal Corriere della Sera, il caso emblematico è quello del palazzo di Londra: un investimento opaco, avvolto da sospetti di truffa e mala gestione, costato al Vaticano non solo milioni di euro ma anche una bella fetta di credibilità. Era la punta dell’iceberg di un sistema finanziario interno in cui la Segreteria di Stato operava come un centro di spesa parallelo, a volte anche fuori controllo.

I bilanci del Vaticano, per anni in profondo rosso, risentivano di questa gestione “creativa” dei fondi. La Santa Sede non pubblica un bilancio consolidato dal 2022, ma La Repubblica stima un disavanzo strutturale di circa 70 milioni di euro l’anno. Una cifra impressionante se si pensa che gran parte delle entrate derivano dalle donazioni dei fedeli, in primis il cosiddetto Obolo di San Pietro. Questo fondo – raccolto ogni 29 giugno nelle chiese di tutto il mondo – dovrebbe sostenere la carità papale. In realtà, solo il 10% viene usato per aiutare i poveri: il resto serve a far girare la complessa macchina vaticana, dalla Curia romana alle nunziature, dalla comunicazione ai tribunali ecclesiastici.

Nel 2023, secondo i dati riportati ancora dal Corriere, il Fondo Obolo ha incassato 52 milioni, ma ha erogato al Papa ben 109,4 milioni: il resto è stato coperto attingendo alle riserve. Un altro dato impressionante? Nel 2009, le donazioni superavano gli 82 milioni: il calo è netto e progressivo. Come ha spiegato il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, «oggi anche i cattolici fanno fatica a essere generosi». In soldoni: la crisi c’è, e si sente anche sotto il Cupolone.

Per far fronte a tutto questo, Papa Francesco ha fatto partire una vera e propria rivoluzione silenziosa. Il punto di svolta arriva nel 2021, quando decide di chiudere tutti i conti in Svizzera della Segreteria di Stato e trasferire la gestione del patrimonio all’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica). È qui che si compie la metamorfosi: da centro silenzioso a cuore finanziario del Vaticano, l’Apsa inizia finalmente a rendere pubblici (almeno in parte) i propri bilanci. Così il Vaticano conquista l’accesso alla white list internazionale dei Paesi finanziariamente trasparenti.

Ma non si tratta solo di regole: Papa Francesco ha cambiato anche la filosofia degli investimenti. Basta operazioni speculative: “investimenti da vedove”, li ha definiti con ironia. Rischio minimo, rendimenti contenuti, ma sicuri. Nel 2023, questa strategia ha portato ad un utile di 27,6 milioni, che ha permesso di risanare il buco di 6,7 milioni registrato nel 2022, secondo quanto documentato da Milano Finanza.

Sul fronte immobiliare, la gestione dell’Apsa si è dimostrata più redditizia. Nel 2023 ha incassato 35 milioni con ricavi per oltre 73 milioni, grazie a un patrimonio da capogiro: oltre 5.000 edifici, pari a circa 1,5 milioni di metri quadri, concentrati per il 92% nella provincia di Roma, soprattutto attorno alle mura leonine. Solo il 19% è affittato a prezzo di mercato; il 70% a canone nullo. E all’estero? Ci sono più di 1.000 immobili, gestiti tramite tre storiche società fondate negli anni ’30: la francese Sopridex, la svizzera Profima e la britannica British Grolux Investment.

In totale, secondo Milano Finanza, le risorse controllate dalla Santa Sede superano gli 11 miliardi di euro. Di questi, circa 5 sono fondi liquidi o strumenti finanziari, mentre 6 miliardi sono legati agli immobili. Un tesoro silenzioso, appunto, che Papa Francesco ha voluto tenere sotto controllo con tagli agli stipendi dei cardinali, stop agli affitti di favore e centralizzazione delle casse.

E poi c’è la “Banca vaticana”. A lungo croce e delizia della Santa Sede, ha visto restringersi i margini d’azione sotto i due ultimi pontificati. Oggi gestisce depositi di congregazioni, diocesi e dicasteri per circa 5 miliardi, con un patrimonio netto di 654 milioni. Meno misteri, più regole. E più controlli. Ora la domanda è: chi verrà dopo Francesco, saprà proseguire su questa strada? Oppure le correnti vaticane (mai domate del tutto) cercheranno di rimettere mano alla cassa? Il Papa “pauperista” ha lasciato un’eredità contabile tutt’altro che povera. Ma soprattutto, ha lasciato un messaggio: la trasparenza non è solo un’esigenza economica. È una questione di fede.

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Ultimo Aggiornamento: 05/05/2025 15:33

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