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Conclave, Zuppi: “Devo farlo assolutamente prima che inizi”, la confessione spiazza

Pubblicato: 06/05/2025 10:24

La scena si svolge in una Città del Vaticano attraversata da un fermento crescente. Il Conclave è ormai imminente e tra le ombre discrete dei corridoi, i cardinali si muovono tra incontri riservati, momenti di preghiera e qualche passaggio inevitabile davanti ai microfoni. Matteo Zuppi, presidente della CEI e arcivescovo di Bologna, è uno dei nomi più sussurrati, più annotati, più analizzati. Ma lui, con il suo stile disarmante e insieme spiazzante, sembra voler prendere le distanze da quel trambusto.

“Devo farlo assolutamente prima che inizi”, dichiara Zuppi a bruciapelo ai cronisti che lo fermano al volo. La frase lascia tutti sospesi per un attimo, in attesa di capire a cosa si riferisca. Un documento urgente da firmare? Un impegno di peso? Nulla di tutto questo. Dopo qualche secondo, il cardinale chiarisce l’enigma: si sta recando dal parrucchiere. “Metti che dura un paio di mesi, almeno mi sistemo un po’”, sorride, come se stesse parlando di una rimpatriata tra amici e non di uno degli appuntamenti più decisivi della cristianità.

Eppure, dietro la battuta e la disinvoltura, c’è una consapevolezza evidente. Zuppi sa di essere osservato. Sa che il suo nome è considerato da molti uno dei più credibili per succedere a Papa Francesco. Ma gioca di rimessa, si schermisce, si rifugia in quell’ironia gentile che lo contraddistingue. “Come avrebbe detto mia madre: dove vai vestito così?”, aggiunge con un sorriso largo, che disinnesca ma non cancella i sospetti. Quando gli chiedono se si sente tra i papabili, risponde netto: “Non c’è rischio, sto tranquillissimo”. Ma la tranquillità, si sa, può essere anche una strategia.

In effetti, da settimane il suo profilo è salito vertiginosamente nelle classifiche mentali – e non solo – di esperti e osservatori. Accanto a lui, tra gli italiani più gettonati, ci sono il segretario di Stato Pietro Parolin e il patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Ma a differenza dei due, Zuppi ha quel qualcosa in più che si presta a interpretazioni trasversali: non è un burocrate, non è un diplomatico di carriera, non è un conservatore né un rivoluzionario. È semplicemente, verrebbe da dire, uno che parla chiaro e sa ascoltare.

La sua biografia lo conferma. Figura centrale della Comunità di Sant’Egidio, storica realtà cattolica impegnata nel dialogo interreligioso e nelle missioni di pace, Zuppi è stato tra gli artefici dell’accordo che ha posto fine alla guerra civile in Mozambico nel 1992. E quando nel 2023 Papa Francesco ha voluto un inviato speciale per tentare una difficile mediazione nel conflitto in Ucraina, ha scelto proprio lui. Non un diplomatico, appunto, ma un uomo che sa parlare alle persone. Ai popoli.

Per questo si mormora di lui come di un possibile Papa “pacifista”, qualcuno lo definisce persino “di sinistra”. Etichetta che Zuppi respinge con forza. “Non cediamo alla tentazione della polarizzazione”, ha detto appena ieri durante un’omelia nel bolognese. Il tono era accorato: “Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro madre. Quante volte si è preferito essere tifosi del proprio gruppo anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, di destra o di sinistra più che di Gesù”.

Il rifiuto delle etichette, l’insofferenza verso gli schieramenti, la ricerca continua dell’unità: in queste parole c’è già una visione, c’è già una linea pastorale. Ma lui continua a schermarsi. Ironico, sì. Ma tutt’altro che ingenuo. Anche il parrucchiere, a ben guardare, è una scelta narrativa. Serve a spostare l’attenzione, a tenere a bada le aspettative, a dire: “Non prendetemi troppo sul serio”. E così, mentre le voci crescono e i giochi veri si svolgono nelle stanze chiuse, Zuppi si muove con leggerezza apparente. Ma il suo nome resta lì, nella lista dei favoriti, come uno che ha già capito che certe corse non si vincono correndo. Basta arrivarci pettinati.

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