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Verso il conclave, il retroscena che cambia la Chiesa: “Arriva un ticket”

Pubblicato: 06/05/2025 07:25

A meno di 24 ore dall’ingresso dei cardinali in Cappella Sistina, il Conclave si apre in un clima d’incertezza e senza un favorito chiaro. “Non stiamo facendo né passi avanti né indietro”, ha detto con realismo il cardinale ivoriano Ignace Bessi Dogbo uscendo dalla decima Congregazione generale, la penultima prima del voto. Uno stallo vero, insomma, che riflette la fatica del Collegio cardinalizio a trovare una sintesi tra le diverse anime della Chiesa: quella riformista che ha trovato voce nel pontificato di Francesco, e quella più tradizionale che ora preme per una svolta.
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La giornata del 5 maggio ha visto ben 26 interventi in assemblea, una delle cifre più alte da inizio lavori. “Si è parlato di un Papa che deve essere Pastore in un mondo in crisi”, ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni. Ma anche di “divisioni nella Chiesa” e della necessità di “ricucire”, parola che molti porporati – specie dal Sud del mondo – usano sempre più spesso. Il quorum resta impegnativo: 89 voti per arrivare alla fumata bianca. Un numero che oggi appare fuori portata per qualsiasi candidato, se non si troverà un’intesa trasversale.

È anche per questo che si è deciso di raddoppiare gli appuntamenti: congregazioni mattina e pomeriggio, nella speranza che le ultime ore di confronto sciolgano i nodi ancora irrisolti. Nel frattempo, il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio, ha annunciato l’assegnazione delle stanze ai porporati: alloggeranno tra Santa Marta e l’edificio adiacente, in un clima sempre più raccolto e sospeso.

I nomi in campo sono molti e tutti, per ora, con più sponsor che consensi reali. Tra gli italiani, resta saldamente in corsa Pietro Parolin, segretario di Stato uscente. Figura di equilibrio e abilissimo diplomatico, è stimato da una fetta importante del Collegio. Ma a suo sfavore pesano due fattori: il forte radicamento nella Curia (che alcuni giudicano “vecchio stile”) e il rischio di rappresentare una continuità troppo tecnica con il passato recente. Piace molto anche Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna: pastore empatico, noto per il dialogo interreligioso e l’impegno per la pace. È visto come un “ponte” tra progressisti e conservatori, anche se alcuni cardinali del Sud America temono che il suo profilo resti troppo legato all’Europa occidentale.

Sul fronte latinoamericano, spicca il nome di Víctor Manuel Fernández, Prefetto della Dottrina della Fede e “penna” di molte delle riflessioni teologiche di Francesco. Uomo di fiducia del Papa uscente, la sua candidatura sarebbe letta come una scelta di continuità netta. Ma il suo curriculum, molto forte sul piano accademico, lascia qualche dubbio sulle doti diplomatiche e gestionali. Guardando verso l’Asia, il cardinale Luis Antonio Tagle è una figura di grande fascino e visione missionaria. Rappresenta quel cattolicesimo in espansione che guarda al futuro, ma la sua distanza dalla macchina curiale potrebbe rivelarsi un handicap nel breve periodo.

In Nord America, l’unico nome davvero considerato è quello di Seán Patrick O’Malley, cappuccino, noto per il suo impegno nella lotta contro gli abusi. La sua età – ha compiuto 80 anni – lo rende però più una suggestione che una vera opzione. Più realistico appare il guineano Robert Sarah, riferimento della frangia tradizionalista. Ma una sua elezione rischierebbe di polarizzare ancora di più gli equilibri interni. Suggestiva l’ipotesi di Christoph Schönborn, l’arcivescovo emerito di Vienna: un gigante teologico con solide radici europee. Ha appena compiuto 80 anni e non entrerà in Conclave, ma il suo nome continua a circolare come riferimento intellettuale e moralmente autorevole.

In questo contesto frammentato, prende quota un’ipotesi che non compare in nessun manuale di diritto canonico ma che molti cardinali iniziano a considerare: un “ticket papale”, ovvero un’intesa implicita tra il futuro Pontefice e il Segretario di Stato. Non si tratterebbe di una formula ufficiale, ma di un accordo politico-ecclesiale per bilanciare carismi, sensibilità teologiche e appartenenze geografiche. In altre parole: se il Papa sarà un teologo latinoamericano, alla Segreteria di Stato potrebbe arrivare un europeo con esperienza curiale. Se invece sarà eletto un italiano, si valuterebbe un nome internazionale alla diplomazia vaticana per mantenere l’equilibrio globale.

Il modello, in fondo, non è nuovo: lo stesso Giovanni Paolo II aveva in Sodano un contrappeso di Curia, e Benedetto XVI si appoggiò molto a Bertone. La novità, semmai, è che oggi si parla del tandem prima ancora dell’elezione. Per molti, potrebbe essere proprio questa l’uscita dallo stallo: convergere su un Papa che garantisca una certa visione, accompagnato da un Segretario di Stato che ne completi il profilo con esperienza, visione geopolitica e capacità di gestione.

Un Papa-Segretario come “coppia strategica” potrebbe diventare la chiave di volta del Conclave 2025. Non una coabitazione, ma un equilibrio. E in tempi in cui anche la Chiesa deve fare i conti con la geopolitica, il tandem potrebbe fare la differenza tra fumata nera e fumata bianca.

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Ultimo Aggiornamento: 06/05/2025 08:24

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