
Papa Francesco si è raccontato con la consueta sincerità nelle interviste affidate al direttore del Tg1, Gian Marco Chiocci, ora raccolte nel libro Dialogo con Papa Francesco – Non temete la morte (Compagnia Editoriale Aliberti). Proprio mentre i cardinali sono riuniti nel Conclave per eleggere il suo successore, Bergoglio lascia trasparire il suo pensiero sul passaggio di testimone: “Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo”.
Il Pontefice riprende un insegnamento di Vincenzo di Lérins (V secolo) per descrivere la natura dinamica della tradizione cattolica: la Chiesa deve consolidarsi, dilatarsi e sublimarsi, come un albero che cresce mantenendo salde le sue radici. Solo così eviterà di fermarsi o di “staccarsi dalle origini”, diventando conservatorismo sterile.
Alla vigilia della sua eventuale successione, Francesco ripercorre anche i conflitti internazionali che lo hanno visto in prima linea. Richiamando l’attacco del 7 ottobre in Medio Oriente, afferma con vigore che “la guerra è una sconfitta” e ribadisce la necessità di una soluzione a due Stati per israeliani e palestinesi, auspicando per Gerusalemme uno “status speciale”. Non dimentica il dramma ucraino, definendo il popolo di Kiev “martire” delle persecuzioni staliniste, e racconta di aver bussato alla porta dell’ambasciata russa: “Ero disposto ad andare da Putin, se serviva a qualcosa”.
Il volume affronta poi i temi del Sinodo, del ruolo femminile nella Chiesa e della missione di rinnovamento spirituale. Ma la lettura è anche intrisa di curiosità personali e passioni popolari: dalle corse dei pescatori di San Benedetto del Tronto, che raccolgono plastica per “custodire il creato”, ai tre fuoriclasse del calcio — Maradona, Messi e Pelé — di cui Francesco ricorda personalità e umanità.
Nelle pagine che custodiscono le sue radici, il Pontefice ricorda di essere “figlio di migranti”: l’Argentina stessa, con oltre quaranta milioni di abitanti di origini straniere, incarna per lui il dramma e la ricchezza dei flussi migratori. Il gesto simbolico del lancio di una corona a Lampedusa — una delle sue prime visite apostoliche — resta uno degli atti più eloquenti di un pontificato attento ai più vulnerabili.
Emerge infine un ritratto intimo di Francesco: erede del “lavoro di pulizia” avviato da Benedetto XVI, di cui ammette di non aver fatto altro che “raccogliere il testimone”, parla del Papa emerito come di “un padre e un fratello” e della propria missione come un servizio alla memoria di Giovanni Paolo II, il cui funerale seguì in un autobus in una favela, trovandosi a spiegare a una donna il mistero della fumata bianca.
In questo dialogo profondo, Papa Francesco offre una guida che guarda al futuro senza rinnegare il passato, invitando la Chiesa a un cammino di crescita autentica. E mentre le porte della Cappella Sistina si chiudono, il suo invito resta chiaro: proseguire “con fede” la lunga storia di un’istituzione che non teme la morte, ma crede nella vita che sempre rinasce.