
Quando nel 2023 il cardinale Robert Francis Prevost rilasciò un’intervista ad Andrea Tornielli per Vatican News, pochi si soffermarono davvero sulle sue parole. Non era ancora “papabile”, non c’erano voci di conclavi imminenti, e lui stesso si teneva lontano dai riflettori. Del resto, la riservatezza è la sua cifra. Eppure, rileggerla oggi, a poche ore dalla sua elezione al soglio pontificio con il nome di Leone XIV, è come aprire il libro del suo pontificato e trovarsi già al primo capitolo. Non una chiacchierata, ma una dichiarazione di intenti. Anzi, ha qualcosa di profetico.
Perché quelle parole, dette con la sobrietà di un religioso abituato al Perù più profondo e alle stanze silenziose dell’Agostiniano, sembrano già scritte sulla pergamena del futuro. Come se, senza volerlo, avesse consegnato al mondo il suo manifesto. Con tanto di diagnosi, terapia e visione. «Il futuro della Chiesa sarà meno potente, più povera, ma forse anche più libera. Per questo, più evangelica», dichiarò Prevost. Una frase che oggi risuona come titolo ideale per il suo primo Angelus. Una Chiesa meno potente: affermazione pronunciata senza timori, drammi. Non come rinuncia, ma quasi come una liberazione. Perché per Leone XIV, che a Chicago studiava matematica prima di prendere i voti, i pesi si misurano anche spiritualmente. E il potere, se non serve il Vangelo, è solo zavorra, un inutile peso.
Nel 2023 Robert Francis Prevost parlava già da custode, ma con lo sguardo lungo: «Non siamo chiamati a gestire il passato, ma a rendere visibile il Regno di Dio nel presente». La si potrebbe prendere come una linea guida: è verosimile pensare che la Chiesa di Leone XIV non sarà un museo da lucidare, ma un cantiere da riaprire. Non c’è in lui traccia di clericalismo. Né l’urgenza di dividere il mondo in conservatori e progressisti. Il suo vocabolario è un altro: parla di «fraternità», di «servizio», di «obbedienza al Vangelo». A proposito della lotta agli abusi disse: «Siamo in cammino anche su questo. Ci sono luoghi in cui si è fatto un buon lavoro già da anni e le norme vengono messe in pratica. Allo stesso tempo, credo che ci sia ancora molto da imparare. Parlo dell’urgenza e della responsabilità di accompagnare le vittime».

Quando gli è stato chiesto dei giovani, Prevost ha replicato così: «La loro distanza dalla Chiesa non è una colpa. È una domanda che ci interpella. Dobbiamo ascoltare prima di pretendere di essere ascoltati». Più che un messaggio, una questione di metodo. E che sia un uomo di metodo lo si intuisce dal passato: prima missionario in Perù, poi vescovo, poi chiamato a Roma da Papa Francesco per guidare la Congregazione per i vescovi. Eh sì, Papa Francesco, l’uomo al quale ora Prevost succede. Ma non per rottura: piuttosto per continuità, verrebbe da dire.
In quell’intervista del 2023, Prevost citò Bergoglio: «Papa Francesco ci ha ricordato che la sinodalità non è uno slogan, ma uno stile di Chiesa. E questo stile ci salva dalla tentazione dell’autoreferenzialità». Un Papa che cita un altro Papa. Incredibile, ma allora lui non poteva sapere quanto accaduto oggi. Anche il nome scelto, Leone XIV, fa pensare. L’ultimo Leone (il tredicesimo) è stato papa Pecci, fine Ottocento: un intellettuale, un riformatore, autore dell’enciclica Rerum Novarum che aprì la questione sociale nella Chiesa. Anche quello fu un segnale importante. Senza proclami, ma con radici profonde. Come a dire: anche stavolta ci saranno “res novae”.

Chi oggi cerca nel nuovo Papa americane sfumature progressiste, o somiglianze con Papa Francesco, rischia di restare deluso. Non è un rivoluzionario, ma neppure un burocrate. È un uomo di frontiera che ha imparato a mediare, a custodire, a discernere. L’intervista del 2023 lo racconta così: «Un buon pastore non è chi sa tutto, ma chi sa ascoltare e sa decidere quando è il momento di andare avanti, e quando è il momento di aspettare». Parole da Papa, già allora. Tuttavia, serviva il tempo giusto perché il mondo le capisse. E ora quel tempo è arrivato. Leone XIV è il 267esimo Papa della storia, il primo nordamericano.
Con il suo pontificato, Prevost si prepara ad affrontare sfide globali con una visione che sembra essere già tracciata nelle parole che pronunciò mesi fa. Il futuro è davanti a lui, ma le sue radici sono già piantate in un passato che, ora più che mai, sembra risuonare nel presente.