
«Mi sa che abbiamo incastrato Stasi». È uno dei messaggi che rischia di riaprire uno dei casi più discussi della cronaca italiana: l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco. Il messaggio, tra i 280 acquisiti dalla Procura di Pavia, sarebbe stato scritto da Paola Cappa, cugina gemella di Stefania e parente della vittima. Le chat, indirizzate a un amico di Milano e riportate dal settimanale Giallo, metterebbero in discussione l’impianto accusatorio che ha portato nel 2015 alla condanna definitiva di Alberto Stasi a 16 anni di carcere, dopo due assoluzioni nei precedenti gradi di giudizio.
Ora, a quasi 18 anni dal delitto, gli inquirenti sembrano intenzionati a percorrere finalmente tutte le piste: anche quelle che all’epoca furono trascurate. Come aveva suggerito senza successo nel 2007 il comandante dei carabinieri Franco Marchetto, si torna a indagare «a 360 gradi», soprattutto nel ristretto ambito familiare. Le gemelle Cappa, ad esempio, vennero ascoltate insieme alla madre subito dopo l’omicidio. Dissero di essere rimaste a casa, e Stefania dichiarò di essere andata in piscina verso mezzogiorno. Nessuno però verificò se avessero una bicicletta nera – uno degli elementi chiave della ricostruzione – né fu mai disposto alcun sequestro.

A far tornare i riflettori sulle due cugine è stato anche un supertestimone anonimo, che avrebbe visto Stefania in un luogo in cui non avrebbe dovuto trovarsi. A questo si aggiunge la vecchia testimonianza di Marco Muschitta, ex operaio, che raccontò di aver notato una ragazza bionda in bici e un Suv scuro tra le 9.30 e le 10 proprio nei pressi della villetta dei Poggi. Muschitta ritrattò, affermando di essersi inventato tutto, ma in una intercettazione con il padre ammise che i carabinieri gli avevano chiesto di farlo.
Quel Suv scuro, secondo un’altra testimonianza, era stato visto anche dal commerciante Vignati, che riferì di aver riconosciuto la madre delle gemelle passare davanti al suo negozio tra le 8 e le 8.30. Poi c’è la misteriosa fotografia portata davanti alla casa dei Poggi: un’immagine che ritrae le tre cugine vestite di rosso. Ma si trattava di un fotomontaggio: una foto reale delle tre insieme non esiste. La messa in scena alimentò ulteriori dubbi sul reale rapporto tra Chiara e le gemelle, forse meno stretto di quanto inizialmente raccontato.

Anche i social finiscono sotto la lente. Nel 2013, Paola pubblicò una foto di piedi con calze a quadretti, con al centro un’impronta a pallini molto simile a quella trovata sul pigiama di Chiara. Il post era accompagnato da un ambiguo: «Buon compleanno sorellina». Più di recente, Stefania ha pubblicato su Instagram una storia con un bambino, delle biciclette e la scritta “Fruttolo”: proprio come il dessert trovato in casa Poggi, ora sottoposto a nuove analisi per impronte e DNA.
A inquietare ancora di più gli inquirenti è un’altra intercettazione familiare: Paola, parlando con la nonna, si sfoga per la presenza temporanea in casa propria dei genitori di Chiara, dopo il sequestro della villetta: «Odio gli zii, non li sopporto più… ci hanno rotto i c…oni, basta!». Parole che raccontano un clima teso e difficile, forse ben lontano dall’apparente armonia tra le famiglie.
Infine, emerge la testimonianza mai approfondita di Francesca, collega di Chiara, che raccontò alla polizia di una festa in villa con piscina, tenutasi a fine luglio 2007, in cui la vittima disse di aver percepito tensioni familiari. Una delle gemelle, Paola, soffriva di anoressia, e la situazione era «pesante». Ma Chiara non era solita frequentare feste. Chi l’aveva invitata? Le cugine? E cosa successe quella sera? Tutte domande mai esplorate fino in fondo, che ora tornano a bussare. Con la speranza, questa volta, che qualcuno apra davvero la porta.