
La sala d’udienza era immersa in un silenzio teso, come accade nei momenti in cui la realtà prende corpo nelle parole, nei dettagli, nelle immagini. È nei tribunali che le storie più dolorose vengono dissezionate, ricostruite, analizzate con crudezza e rigore. Non c’è spazio per la consolazione, ma solo per l’accertamento della verità. E in quelle stanze, le vite spezzate tornano, sotto forma di testimonianze, prove, emozioni che trapelano dai volti.
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I volti dei genitori, le mani che si stringono al comparire delle fotografie, lo sguardo basso degli astanti, l’attenzione fissa dei giudici. Un’aula di giustizia non è mai neutra: vibra delle tensioni che la attraversano, dei silenzi pesanti, delle parole dette e non dette. E quando si discute di una vita giovane spezzata, il peso emotivo si fa ancora più evidente, come è avvenuto nell’ultima udienza per il processo sull’omicidio di Sofia Stefani.
A processo Giampiero Gualandi, ex comandante della Polizia Locale
Si è tenuta una nuova udienza del processo che vede imputato Giampiero Gualandi, 63 anni, ex comandante della Polizia Locale di Anzola Emilia, accusato dell’omicidio volontario aggravato di Sofia Stefani, 33 anni, vigilessa uccisa il 16 maggio 2024. L’accusa ipotizza futili motivi e legame affettivo come aggravanti. L’omicidio è avvenuto all’interno dell’ufficio di Gualandi, presso il comando di Anzola, dove Stefani è stata colpita da un proiettile esploso dalla pistola d’ordinanza dell’imputato.
Secondo la difesa, si sarebbe trattato di un colpo accidentale, partito durante una presunta colluttazione tra i due. La Procura, invece, sostiene che si sia trattato di un gesto volontario, frutto di una decisione consapevole da parte di Gualandi.
I rilievi dei carabinieri: «Lesioni compatibili con colpo ravvicinato»
A parlare davanti alla Corte d’assise, presieduta dal giudice Pasquale Liccardo, è stato il luogotenente Marco Benassi, in forza alla sezione investigazioni scientifiche del nucleo investigativo dei carabinieri di Bologna. Secondo Benassi, «è improbabile che ci sia stata una colluttazione nell’ufficio di Gualandi». Il militare ha spiegato che sul volto della vittima erano presenti «piccole lesioni scure, tipiche delle ferite da arma da fuoco a distanza ravvicinata».
Durante l’esame dell’arma, è emerso inoltre che non era stata pulita di recente: «L’arma era particolarmente sporca, e questo mi fa desumere che non fosse stata pulita». Un dettaglio che assume peso nel contesto della dinamica dell’omicidio.

L’atteggiamento di Gualandi durante l’ispezione
Benassi ha poi raccontato un dettaglio che lo ha colpito durante gli accertamenti a carico di Gualandi nella stazione dei carabinieri di Anzola. «Mi rivolgevo a lui chiamandolo signor Gualandi, e lui mi rispondeva sottolineando Commissario Gualandi. Questa freddezza e mancanza di empatia per la vittima mi hanno colpito», ha dichiarato, rispondendo alla pm che gli aveva chiesto di descrivere lo stato d’animo dell’imputato durante l’ispezione.
Un altro elemento evidenziato riguarda la cassetta in legno che conteneva il kit per la pulizia dell’arma. Secondo il luogotenente, essa era priva di due elementi essenziali: «l’olio e la pezzuola», rendendo impossibile la pulizia dell’arma, contrariamente a quanto sostenuto da Gualandi.
In aula mostrati gli scatti del cadavere, dolore dei familiari
Durante l’udienza sono state proiettate in aula le fotografie del corpo di Sofia Stefani, scattate dai carabinieri durante i rilievi sul luogo del delitto. Immagini crude, che hanno avuto un forte impatto emotivo. Entrambi i genitori della vittima erano presenti. In particolare, la madre, davanti ad alcuni degli scatti più duri, si è coperta il volto con le mani, visibilmente provata.
Il processo prosegue, con l’obiettivo di chiarire fino in fondo le circostanze che hanno portato alla morte della giovane vigilessa, una vicenda che ha scosso profondamente la comunità di Anzola Emilia e che continua a sollevare domande dolorose sulla dinamica dei fatti e sul contesto in cui si è consumato il delitto.