
Quando una casa smette di essere rifugio, la violenza si fa strada tra le mura più intime. Lì dove una volta c’erano affetti, oggi restano solo ricordi lacerati e silenzi. I conflitti domestici non sempre finiscono con una porta sbattuta. A volte, si trasformano in tragedie irreparabili.
Leggi anche: Garlasco, Sempio non sarà ascoltato di nuovo: “Era nel suo interesse, ora non serve più”
I segnali ci sono, ma non bastano mai. Una parola di troppo, una porta chiusa, un messaggio ignorato. Le ferite dell’anima non lasciano lividi visibili, e chi le subisce spesso resta inascoltato. Quando si parla di sofferenza mentale, si entra in un terreno fragile. Le omissioni, anche involontarie, possono costare una vita.
Leggi anche: Violenze shock sulle giocatrici, minorenni: l’orrore che scuote lo sport italiano, agghiacciante
La violenza contro le donne continua a mostrare il suo volto più crudele. In ogni città, in ogni famiglia, può accadere. Nessuno è davvero al sicuro. Basta un attimo per cambiare tutto, e l’amore si trasforma in ossessione.
Il processo per l’omicidio di Cristina Marini

In tribunale a Genova, si è aperto il processo contro Gian Paolo Bregante, ex capitano di navi, oggi accusato di omicidio. L’uomo, 73 anni, ha sparato alla moglie Cristina Marini nel settembre 2024, nella loro casa di Sestri Levante. In aula sono stati mostrati i video delle telecamere di sorveglianza installate nell’abitazione.
Le immagini raccontano gli ultimi istanti di vita della donna. Prima le urla, poi gli spintoni, infine lo sparo. Subito dopo, la chiamata al figlio: “Vieni, ho sparato alla mamma”, e poi quella ai carabinieri. Il video ha gelato l’aula. Un silenzio pesante ha accompagnato la proiezione.
L’imputato ha dichiarato di aver agito per un raptus, senza intenzione di uccidere. “Volevo solo spaventarla”, ha detto nei verbali letti durante l’udienza. I suoi legali, Sara Bellomo e Paolo Scovazzi, hanno puntato sullo stato mentale compromesso dell’uomo. Bregante si era rivolto al Centro di Salute Mentale, denunciando il proprio disagio in diverse occasioni.
Il pubblico ministero Stefano Puppo ha aperto un’inchiesta parallela per verificare le responsabilità mediche e istituzionali. Un medico del centro ha confermato di aver seguito Cristina un anno prima, prescrivendo terapie che non sono mai state iniziate. Nessuna segnalazione, però, aveva fatto scattare un trattamento sanitario obbligatorio per il marito, nonostante le sue ripetute richieste di aiuto.
Testimonianze e segnali ignorati
Il figlio della coppia ha raccontato un quadro familiare difficile. Litigi quotidiani, depressione non curata, un’arma in casa. La cugina di Cristina ha parlato di lividi e silenzi, di una dipendenza economica che impediva alla vittima di denunciare.
Durante l’udienza sono stati analizzati anche messaggi WhatsApp, video e il racconto di un’aggressione avvenuta due mesi prima dell’omicidio. Tutti tasselli che compongono un mosaico fatto di dolore e mancate risposte.