
Capelli scuri ancora nel lavandino, dove secondo i giudici Alberto Stasi si sarebbe ripulito dal sangue della fidanzata Chiara Poggi. Impronte svanite nel tempo, scene del crimine compromesse, oggetti mai analizzati: sono tanti i punti critici che, a distanza di anni, stanno riemergendo nel caso di Garlasco, uno dei delitti più controversi della cronaca italiana.
Le ricostruzioni ufficiali raccontano che l’omicidio avvenne il 13 agosto 2007. Tuttavia, i rilievi scientifici furono effettuati in tempi molto dilatati: 21 e 29 agosto, 5 settembre, 3 ottobre. Quando molti elementi — comprese alcune impronte — si erano già deteriorati o erano addirittura scomparsi. A peggiorare la situazione, l’uso precoce delle polveri per impronte, che ha compromesso l’efficacia del successivo esame con il Luminol.

Gli errori iniziali: impronte, scarpe e carabinieri senza guanti
La prima fase dell’indagine è stata caratterizzata da numerose anomalie. Alcune note da tempo, come il sequestro tardivo delle scarpe di Stasi, che avvenne 19 ore dopo i fatti, o la presenza del gatto di Chiara, lasciato nell’abitazione sotto sequestro per giorni. I tappetini della sua auto, potenzialmente rilevanti, furono prelevati una settimana dopo.
Ma sono soprattutto le novità emerse nelle nuove indagini condotte dal Nucleo investigativo di Milano, coordinate dai magistrati Fabio Napoleone, Stefano Civardi, Valentina De Stefano e Giuliana Rizza, a far discutere. Alcuni reperti non furono mai analizzati: tra questi, persino la spazzatura di casa Poggi del giorno dell’omicidio, rimasta inutilizzata per anni in un ufficio dell’Istituto di medicina legale.

I primi mesi furono segnati da una gestione discutibile della scena del crimine. Diversi carabinieri entrarono nella casa senza guanti o calzari, lasciando impronte che resero meno chiaro il quadro probatorio. In un paradosso, questi errori furono usati nei processi come elementi a favore di Stasi. Solo nel 2020 si è scoperto che le scarpe usate per il confronto con le impronte sul pavimento non erano quelle realmente indossate dagli inquirenti.
Il caso del computer e l’impronta numero 33
Altro elemento cruciale: il computer di Alberto Stasi, considerato suo alibi, fu manipolato prima dell’analisi forense. Furono collegati dischi esterni e furono effettuate operazioni che ne hanno inquinato i dati. Quanto al tema delle immagini pedopornografiche trovate sul pc, si è accertato che non furono mai visualizzate.
L’impronta “33” rappresenta oggi uno snodo delle nuove indagini: secondo i consulenti della Procura, combacia con Andrea Sempio, grazie a 15 minuzie sovrapponibili. Inizialmente fu classificata dai Ris come “non utile”. In totale, otto impronte sono state “rilette”: una è di Stasi, una di Sempio, tre di un falegname, tre restano anonime.

Verbale lacunoso e nuove domande
Il verbale dell’interrogatorio del 2008 a Sempio — che quel giorno aveva consegnato uno scontrino come alibi — non riporta un suo malore, pur risultando l’intervento del 118. I carabinieri sentiti di recente non ricordano alcun problema di salute.
I legali di Sempio, intanto, minimizzano: “Quella della Procura è una consulenza tecnica di parte, non una perizia. Senza contraddittorio”. Ma per i pm, quella impronta lasciata sulle scale, vicino al cadavere, poteva essere lasciata solo da chi ha ucciso Chiara.