
Un’ombra si allunga sul Mediterraneo, dove le luci sfavillanti di Cannes avevano accolto, cinquant’anni or sono, un regista capace di trasformare il racconto di un popolo in un’esperienza universale. Era il 1975 quando, in un giugno rovente, la giuria del Festival del Cinema alzò per la prima volta al cielo la Palma d’oro non a un autore europeo o americano, ma a un creativo venuto dall’altra sponda del mare. Il suo film, un dramma epico sulla lotta per l’indipendenza, non soltanto attirò l’attenzione mondiale su una rivoluzione ancora viva, ma cambiò per sempre il modo in cui il cinema guardava alle storie del Sud del mondo.
A spegnersi oggi è colui che, con quel riconoscimento, aveva spalancato le porte del grande schermo ai registi arabi e africani. Aveva 95 anni, ed era l’ultimo testimone vivente di un gesto folgorante: quattro partecipazioni al festival, fino a ritirarsi con il passo lento di chi sa di aver lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte. Il suo ultimo respiro è stato in Algeria, nella casa che tanto amava, circondato dai figli che ne hanno annunciato la scomparsa, mentre il mondo cinematografico si prepara a rendergli omaggio.
Addio al Hamina, regista leggendario
Mohammed Lakhdar Hamina nasce il 17 aprile 1930 a Bou Saâda, nell’entroterra algerino. Dopo studi di storia e sociologia a Parigi, si avvicina al documentario, firmando negli anni Sessanta importanti reportage sulla guerra d’indipendenza algerina. È però con il suo lungometraggio d’esordio, nel 1975, che raggiunge la consacrazione internazionale: Chronique des années de braise (Cronaca degli anni di brace), epopea in tre parti sulla liberazione dell’Algeria dal dominio coloniale francese, conquista la Palma d’oro a Cannes, primo regista arabo e africano a trionfare nel celebre festival.
Nel corso della carriera, Hamina dirige sette film, tra cui Sandstorm (1982) e Rih al Sahara (1994), esplorando temi di libertà, identità e memoria collettiva. Le sue opere, caratterizzate da un forte impegno politico e da uno sguardo intenso sulle sofferenze del suo popolo, lo hanno reso un punto di riferimento per il cinema post-coloniale. Premio alla carriera a numerosi festival internazionali, è ricordato come “il cantore del deserto” e del riscatto di una nazione che ha trovato nella luce dello schermo la propria voce.