
Nel labirinto giudiziario del delitto di Garlasco, a distanza di anni dalla condanna definitiva di Alberto Stasi, riemerge con forza la voce di Stefano Vitelli, il giudice che in primo grado lo assolse. In una recente intervista, Vitelli si sofferma su una prova rimasta per anni sullo sfondo: il “molto curioso” scontrino di Andrea Sempio, oggi indagato dalla Procura di Pavia per concorso in omicidio.
Il magistrato, che allora dispose quattro super perizie per ovviare alle lacune investigative, ribadisce di aver avuto la sensazione di un processo incompiuto, segnato da un costante senso di mistero. Secondo Vitelli, l’inchiesta presentava elementi “contraddittori e altamente insufficienti”, tra cui l’alibi informatico di Stasi, all’epoca ritenuto debole, ma poi rivalutato da una perizia indipendente che lo confermava: “Lavorava davvero al computer quella mattina”, racconta il giudice.
A questo quadro si aggiunge il nuovo fronte investigativo su Andrea Sempio, amico di Marco Poggi, fratello della vittima Chiara Poggi. Il suo presunto alibi – fondato su uno scontrino emesso a Vigevano – è ora messo in discussione: le analisi dei tabulati telefonici e le ultime testimonianze lo rendono vacillante. Secondo la nuova ipotesi, a effettuare l’acquisto sarebbe stata in realtà la madre di Sempio.
Vitelli sottolinea come nessuno, all’epoca, approfondì quella “strana paginetta di cinque righe” in cui si parlava dello scontrino. Ma ribadisce che il giudice non deve cercare una “terza via”: “Deve essere terzo. Il mio compito era stabilire se Stasi fosse colpevole o innocente. Non trovare un altro colpevole”.
Il magistrato torna anche su altri elementi critici dell’indagine: la bicicletta sequestrata, mai mostrata alla testimone Franca Bermani che aveva visto una bici simile vicino alla scena del crimine, e le interferenze nei dati informatici causate da interventi maldestri degli investigatori. Così come riconsidera la ricostruzione temporale dell’omicidio: l’aggressione non fu istantanea, l’arma del delitto non è mai stata trovata e la “freddezza” nella chiamata al 118 non può bastare a fondare una condanna.
Infine, Vitelli richiama il principio del ragionevole dubbio: “È laico, trasversale, comprensibile a tutti. Anche a mia madre, che aveva solo la licenza elementare e me lo ricordava sempre mentre preparava la pasta”. E conclude con una riflessione netta: “Meglio un colpevole fuori che un innocente in carcere. L’assoluzione non è una sconfitta dello Stato. È una vittoria della giustizia”.