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Omicidio di Garlasco, la furia dei Cappa contro gli inquirenti: “Quel cretino lo incastreranno”

Pubblicato: 03/06/2025 06:39

Chi guidava davvero la prima fase dell’indagine sull’omicidio di Garlasco? Chi stabiliva cosa fosse rilevante e cosa no? E soprattutto, chi decideva cosa doveva restare fuori dalle carte? A 18 anni dal delitto, la nuova inchiesta riporta in luce intercettazioni giudiziarie mai completamente elaborate pubblicamente. Protagonista, ancora una volta, la famiglia Cappa, cugini della vittima.

Nel verbale del 13 febbraio 2008, Stefania Cappa sbotta con gli inquirenti: “Ho detto: potete prendere tutta la mia casa! Le biciclette, le scarpe, tutto! Ma il tutore di una persona malata! Voi mi fate ridere! E loro: Stefania calmati; no io non mi calmo per un caz…! Gliel’ho detto!”. Quel giorno era stata interrogata per l’ultima volta insieme alla madre. Ma non si trattò di un interrogatorio qualunque: venne sequestrato il tutore ortopedico della sorella Paola, oggetto di nuovi accertamenti.

La rabbia registrata al telefono

La telefonata è un fiume di rabbia. Stefania continua: “Avete paura di un… di un caz.. di Giarda che vi dice tre parole o della Muscio che prima mette in carcere uno e dopo tre giorni fallisce perché la Pravon glielo scarcera per… perché è una fallita, sono caz.. vostri!!!”. E poco dopo aggiunge: “Mio papà si è incazz… come una iena”. Il riferimento è a Ermanno Cappa, padre delle due ragazze e avvocato.

La sequenza delle intercettazioni prosegue, e la giovane non si ferma: “C’era il comandante Cassese — prosegue — e lui sa che io ho il carattere che veramente sputo sangue, e mi fa: bene Stefania. E io: bene un caz…”. Poi racconta come avrebbe affrontato direttamente gli investigatori: “Ho detto: io fino adesso ho collaborato con voi e… anche queste cose nuove… alla luce ehm…. delle indagini che… che secondo me saranno molto utili per inquadrare meglio il tutto di quello che è… non le ho mai… non le ho dette a nessuno, solo a mio padre, non sono neanche riuscita ha dirle a Tizzoni, quindi io comunque sto collaborando nel pieno del silenzio delle indagini, non… non sono andata da nessun giorna… qualsiasi giornalista se dovessero chiamare se dico: guarda che mi hanno interrogata, mi becco un frac… almeno cinquantamila euro per andare a Matrix e centomila per andare a Porta a Porta!”.

La Raleigh e il mazzo di chiavi

Dietro quelle urla telefoniche, oggi gli investigatori leggono anche omissioni e dettagli mai approfonditi. Come la bicicletta Raleigh presente in casa Cappa, o il mazzo di chiavi con antifurto di casa Poggi, che risultavano nella loro disponibilità e non furono oggetto di sequestro. E ancora: tra il 24 e il 27 settembre 2007, data della scarcerazione di Alberto Stasi, viene ascoltato il testimone Marco Demontis Muschitta, che prima accusa Stefania e poi ritratta.

Nel frattempo, la ragazza intrattiene ventuno comunicazioni con i genitori: diciotto vengono bollate come irrilevanti, ma ne sopravvivono tre. La prima è del 27 sera: “Ermanno parla con Stefania della strategia che devono adottare per denunciare giornali, riviste, tg, ecc”. La seconda del 28: “Il padre dice che Stasi è stato scarcerato, quindi di evitare i giornalisti”. La terza poco dopo: “Stefania parla con la mamma e dice se può andarla a prendere visto che hanno scarcerato Stasi, così evita i giornalisti”.

Giornalisti, scoop e confidenze

Nonostante le precauzioni, Stefania continua a intrattenere rapporti con stampa e tv. A un amico dice: “Ma a chi è che non sta sul caz… cioè… e questo ha avuto il coraggio il martedì sera di andarsi a fare la partitina a calcetto”. È il 19 novembre 2007. Nello stesso giorno, si rivolge a un’inviata di Chi: “Ti saprei dire nomi e cognomi delle ex e delle nuove di Marco Panzarasa e Alberto Stasi — includendo anche l’amico del bocconiano — ho di quelle informazioni che… ci vediamo domani mattina al bar dell’università, ti faccio vedere il mondo!”. In cambio chiede un favore: “Ma su di me uno scoop mai eh — suggerisce — la povera studentella che deve vivere con… con la bicicletta, senza computer, questi sono articoli giusti”.

Il rapporto più stretto, però, lo costruisce con un inviato del Tg5. Gli viene chiesto: “Quel bel dialogo del 17 agosto, in caserma, tra te e lui”, riferito a Stasi. E lei confida: “Non può essere che si è fermato a dormire lì? E ha scritto lì tanto per lavorare su un pc”. Poi aggiunge con tono orgoglioso: “Eh lo so sono troppo investigativa su queste cose”. E ancora: “Ti do un milione di elementi su cui poi valutare andare a braccare le persone giuste”.

Il timore della fuga di notizie

Ma quando la teoria finisce in un’intervista video, la tensione esplode. Stefania si spaventa: “Ma tu ti rendi conto, che io non posso mandare in onda una cosa… cioè lì è violazione del segreto istruttorio, del 17 agosto?”. Teme la reazione del padre: “Stamattina lui ha chiamato il mio direttore — racconta l’inviato — per dirgli ah! l’intervista non, non lo so non voglio che vada in onda”. Il tentativo di accordo fallisce: “Senti, allora me lo farà Mimun”. E infine, l’intercettazione più emblematica. È il 12 dicembre. Il padre, avvocato, rassicura la figlia: “Stai tranquilla che l’indagine va avanti come si deve che quel cretino lì se devono incastrarlo lo incastrano”.

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Ultimo Aggiornamento: 03/06/2025 07:11

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