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Garlasco, spunta l’ipotesi di una doppia arma: così avrebbero ucciso Chiara

Pubblicato: 05/06/2025 07:50

Il dettaglio che ha riacceso il caso è nascosto tra gli atti. Anzi, tra le ferite. Quelle strane, come le definì il primo medico legale. Un segno sulle palpebre, come inciso da un oggetto affilato, e una frattura alla mandibola compatibile con un colpo secco e pesante. Due tipologie di lesione che difficilmente si spiegano con un’unica arma. Due gesti, due strumenti, forse anche due mani.

In questa ambiguità si è riaperta una faglia. Dopo quasi vent’anni dalla morte di Chiara Poggi, uccisa nella villetta di famiglia a Garlasco, si torna a parlare di un delitto che sembrava chiuso per sempre con la condanna definitiva di Alberto Stasi, il fidanzato. Ma ora il nome di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, torna a circolare: il suo è finito nel registro degli indagati, stavolta con l’attenzione formale che non aveva avuto nel 2017.

Le due armi e l’incertezza sul movente

Il punto fermo resta la dinamica sanguinosa: un’aggressione domestica in piena mattina, senza testimoni, con segni di violenza incompatibili con un solo oggetto. Gli investigatori non escludono l’uso di un attizzatoio, di un martello o addirittura di un ferro da stiro. L’ipotesi è che siano state usate almeno due armi diverse: una contundente per tramortire, una affilata per infierire.

Una violenza non facilmente inquadrabile in uno schema passionale, né facilmente associabile al profilo “composto” di Stasi. È su questo squilibrio tra ferocia e movente che si è riaperta la riflessione degli inquirenti. Ma la famiglia Poggi non vacilla: “Per noi non è cambiato nulla”, ripetono da anni. Alberto resta per loro l’unico colpevole, e ogni nuova pista viene vista come una ferita supplementare.

Le intercettazioni su Sempio e i dubbi della procura

Al centro delle nuove verifiche ci sono anche 806 file audio registrati nel 2017: intercettazioni ambientali che coinvolgono proprio Andrea Sempio. Per quindici giorni il suo veicolo fu controllato dai carabinieri, ma all’epoca, né il ticket sanitario a suo nome né le telefonate fatte alla casa dei Poggi bastarono per sostenere un’accusa. La stessa Procura generale di Milano definì quegli elementi “già valutati e giudicati irrilevanti”.

Oggi però, in attesa dell’incidente probatorio del 17 giugno, gli inquirenti tornano su quei file, cercando toni, parole, sfumature che allora passarono in secondo piano. Un lavoro minuzioso e controverso, che poggia più sul dubbio che sulla certezza.

Una verità giudiziaria, ma non unanime

La condanna di Stasi è stata definitiva, ma non unanime nella percezione pubblica. Lo stesso iter processuale – una prima assoluzione, poi ribaltata – ha lasciato uno strascico di ambiguità. Ora, con l’ombra di un altro possibile sospettato, il caso di Garlasco si carica di un’ulteriore complessità.

I genitori di Chiara, però, hanno sempre tenuto ferma la rotta: “Siamo convinti che giustizia sia stata fatta”. A 18 anni dalla tragedia, nessuna nuova indagine ha cambiato la loro convinzione. Ma la verità processuale – come spesso accade – non chiude mai davvero i casi che l’opinione pubblica continua a tenere aperti.

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