
Trieste, dicembre 2021. È una data che continua a far rumore. Il corpo senza vita di Liliana Resinovich, scomparsa da giorni, fu ritrovato nel parco dell’ex ospedale psichiatrico San Giovanni, avvolto in due sacchi di plastica. Oggi, dopo quasi tre anni, i misteri attorno alla sua morte non solo non si sono dissolti, ma si moltiplicano.
La coperta, la bara e i sospetti
Uno dei dettagli più inquietanti è stato rivelato da Silvia Radin, cugina della vittima, durante l’ultima puntata di Chi l’ha visto?. Ha raccontato che Sebastiano Visintin, marito di Liliana, volle mettere nella bara della moglie una coperta marrone, di quelle che si usano nei campi profughi. “Me la lanciò addosso e poi la fece mettere nella bara, arrotolata vicino alla testa, ma Liliana era già nel sacco”, ha detto. Il dettaglio è diventato uno dei simboli del caso, perché non è chiaro né il motivo né l’origine di quella coperta.
Dubbi sono stati sollevati anche sul tipo di bara utilizzata per il funerale. Alcuni avevano ipotizzato un’irregolarità, ma le pompe funebri hanno chiarito che, essendo destinata a un loculo comune, la cassa zincata non era obbligatoria.
Contanti in casa, decine di migliaia di euro senza origine certa
Altro punto che ha riacceso l’attenzione mediatica e giudiziaria è la presenza in casa di Liliana e Sebastiano di circa 50.000 euro in contanti. Sebastiano Visintin ha sempre dichiarato che quei soldi derivassero dal suo lavoro come arrotino, e che una parte fosse destinata a regali o donazioni a familiari e amici. Ma la cugina Silvia è scettica: “Da dove escono tutti questi soldi? Non bastano le entrate per coprire le spese e le uscite che avevano”.
In particolare, secondo le testimonianze raccolte dalla trasmissione, tra le somme in discussione ci sarebbero 20.000 euro in casa, 1.600 dati al fratello di Liliana, 27.000 spesi in un ristorante e una proposta – rifiutata – di affidare una somma rilevante a due amici poco dopo la scomparsa.
I cordini e l’ombra dell’occultamento
Restano senza risposta anche le domande sui cordini trovati in casa di Sebastiano. Un dettaglio apparentemente marginale, ma che ha attirato l’attenzione degli investigatori per similitudini con quelli usati nel trasporto del corpo. L’ipotesi che qualcuno potesse averli utilizzati per legare o spostare il cadavere – oppure per una messinscena – è ancora aperta.
Secondo la cugina, Liliana “aveva paura, si sentiva controllata”, e sospettava che “avesse scoperto qualcosa che non doveva uscire”. In attesa dei risultati degli accertamenti sui telefoni e delle ulteriori verifiche della procura di Trieste, il quadro resta sospeso tra verità opache e nuove ombre. Con una sola certezza: il caso Resinovich è tutt’altro che chiuso.