
Un flop annunciato. Il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025, che chiamava gli italiani a esprimersi su cinque quesiti in materia di lavoro e cittadinanza, si è chiuso con un’affluenza tra le più basse nella storia repubblicana. All’incirca il 30,26% degli aventi diritto si è recato alle urne: un dato ben al di sotto della soglia del 50% più uno necessaria per il raggiungimento del quorum. Tutti i quesiti risultano quindi formalmente nulli, indipendentemente dagli esiti delle schede scrutinate.
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I dati regione per regione
Perché abbiamo votato ( o non votato) al referendum
I temi erano tutt’altro che marginali. Si trattava di abrogare alcune norme del Jobs Act sui licenziamenti, di estendere le tutele ai lavoratori delle piccole imprese, di aumentare la responsabilità in caso di infortuni sul lavoro, di ripristinare la responsabilità solidale negli appalti e di ridurre da dieci a cinque anni il requisito di residenza per accedere alla cittadinanza italiana. Proposte sostenute da CGIL, partiti di opposizione e da una parte della società civile, ma che non hanno convinto la maggioranza degli elettori.
Determinante, secondo molti osservatori, è stata la scelta del centrodestra di invitare all’astensione. La premier Giorgia Meloni si è recata regolarmente al seggio ma ha dichiarato di non aver votato, rafforzando di fatto la linea del non coinvolgimento. La strategia, già collaudata in altri contesti referendari, ha avuto successo. “Il popolo italiano ha dimostrato buon senso”, ha commentato Matteo Salvini. “Non serve tornare indietro su conquiste come il Jobs Act.”
Salvini: “Cittadinanza non è un regalo”
Matteo Salvini ha così commentato il voto: “Oggi in Italia si votano dei referendum che non passeranno: la cittadinanza non è un regalo, chiediamo regole più chiare e severe per essere cittadini italiani, non basta qualche anno in più di residenza”.

Di segno opposto le reazioni dell’opposizione. Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha parlato di “un’occasione persa” e ha accusato il governo di aver “delegittimato uno strumento democratico fondamentale”. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha definito “grave” la scarsa informazione istituzionale: “Il governo ha fatto di tutto per affossare il referendum, senza nemmeno garantire una campagna informativa minima”.
Il mancato quorum ha riacceso il dibattito sulla tenuta degli strumenti di democrazia diretta. Molti giuristi e politologi tornano a chiedere una riforma del meccanismo referendario, magari introducendo una soglia più bassa o forme di voto digitale, per evitare che consultazioni su temi importanti si trasformino in inutili passaggi a vuoto.
Resta il fatto che, secondo un sondaggio diffuso alla chiusura dei seggi, meno della metà degli italiani sapeva dell’esistenza del referendum. Un dato che, forse più della bassa affluenza, racconta la distanza crescente tra cittadini e politica.