
Il giorno dopo il referendum che avrebbe dovuto suonare come un avviso di sfratto per il governo, Giorgia Meloni appare tutt’altro che trionfante. Nonostante il voto abbia di fatto confermato l’assenza di una reale alternativa al suo esecutivo, la presidente del Consiglio non nasconde un certo fastidio per la pressione costante del potere: «Palazzo Chigi è la mia prigione», ha confidato, ancora una volta, dopo l’esito del test referendario.
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Nessuna festa nel centrodestra: il governo guarda avanti
Nel centrodestra non si registra un clima di euforia. Il risultato del referendum ha certamente consolidato la posizione della maggioranza, ma i toni restano sobri. A prevalere è la consapevolezza che la vera prova per il governo sarà rappresentata dai prossimi mesi, tra riforme istituzionali, tensioni internazionali e il nodo dei problemi economici e salariali.
Come ha sottolineato Maurizio Lupi, esponente centrista, «la sfida per essere confermati alla guida del Paese non passa da un referendum ma dall’azione di governo». È un messaggio chiaro: il consenso si costruisce con le riforme, non con le urne. E Meloni sembra averlo ben presente.

La bassa affluenza e il segnale all’opposizione
Il dato più eloquente del voto è stata la scarsa partecipazione: meno di un terzo degli aventi diritto si è recato alle urne. Un numero che, più delle percentuali, racconta lo stato di salute dell’opposizione. Quello che doveva essere un colpo all’esecutivo si è trasformato in un boomerang per il centrosinistra, incapace di mobilitare l’elettorato.
Così, in un contesto apparentemente favorevole, Meloni si ritrova sì rafforzata, ma anche consapevole che l’usura quotidiana della politica è sempre in agguato. E che un errore, una crisi, un inciampo possono cambiare il vento anche quando tutto sembra sotto controllo.
Immigrazione e tensioni tra alleati: Tajani contro Salvini
Dietro l’unità di facciata nel centrodestra, emergono però le solite differenze interne. Il tema dell’immigrazione, come spesso accade, alimenta le distanze tra Forza Italia e Lega. Dopo il 35% di «no» registrati sul quesito relativo alla cittadinanza, Antonio Tajani ha rilanciato la proposta dello ius scholae, definendola «la riforma più giusta per garantire l’integrazione».
Diversa, anzi opposta, la posizione di Matteo Salvini, che ha commentato in modo tranchant: «La cittadinanza accelerata è un’idea sbagliata e bocciata». Un colpo indirizzato non solo al tema, ma anche all’alleato. Niente di paragonabile, comunque, ai conflitti che agitano il Campo largo.

Schlein tra vittorie tattiche e tensioni interne
Nel campo dell’opposizione, Elly Schlein prova a trasformare la sconfitta in un successo politico. Se da un lato il referendum non ha raggiunto l’obiettivo, dall’altro la segretaria del Partito Democratico ha vinto un derby interno. Ha infatti ridimensionato le ambizioni di Maurizio Landini, che puntava a un ruolo da protagonista nella costruzione del Campo largo. Secondo alcuni, persino nel suo stesso sindacato, il leader della Cgil è stato definito un «brontosauro».
Allo stesso tempo, anche Giuseppe Conte esce indebolito. I numeri raccontano di un Movimento 5 Stelle incapace di mobilitare i propri elettori, soprattutto al Sud. Una debolezza che alimenta il racconto, tutto interno al Pd, di un ex premier destinato al ruolo di junior partner.
I riformisti marginalizzati: Bonaccini sotto accusa
All’interno del Partito Democratico, Schlein ha approfittato della tornata referendaria per consolidare la sua leadership. Secondo diversi esponenti dell’area riformista, il presidente Stefano Bonaccini avrebbe di fatto abdicato alla contesa interna, «consegnando la componente moderata alla segretaria».
Con una linea radicale e movimentista, la segretaria ha modificato il profilo del partito, che ora parla a una base diversa, più militante e meno istituzionale. Le prossime Regionali, con il voto in Toscana, Puglia e Campania, potrebbero rafforzare ulteriormente la sua posizione in vista del congresso.
La sfida nel centrosinistra: Renzi propone l’area centrista
Al momento, un cambio di guida nel Pd o nel Campo largo appare improbabile. Come ha osservato Matteo Renzi, «Elly ha ricostruito una sinistra identitaria, ma da sola non basta per vincere». L’ex premier rilancia l’idea di un’alleanza con Italia Viva, convinto che solo con il supporto dei centristi si possa davvero sfidare la destra nei collegi del Sud. «Con l’attuale legge elettorale – sostiene Renzi – Meloni perderà i collegi al Sud e tornerà a casa».
Il paese reale resta con Meloni
A leggere i risultati delle urne, tuttavia, la realtà del Paese racconta un’altra storia. Quella in cui Meloni resta al governo anche grazie a una parte di centrodestra che ha votato compatta, evitando che il centrosinistra sprofondasse sotto il 30%.
Una dinamica che rafforza l’impressione che, al di là delle tensioni e delle schermaglie, la presidente del Consiglio sia ancora saldamente al centro del sistema politico italiano. Paradossalmente “inchiodata” a Palazzo Chigi, ma più forte che mai.