
Nel dibattito pubblico italiano ed europeo, la bandiera palestinese è divenuta un emblema sempre più presente. Dai balconi dei centri storici ai palchi dei grandi concerti, il vessillo bianco, verde, rosso e nero compare ovunque, spesso brandito come simbolo di giustizia e di solidarietà. Ma dietro questo gesto apparentemente semplice si cela un terreno scivoloso, dove il conformismo ideologico rischia di prendere il posto della consapevolezza storica e politica.
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È su questo piano che si colloca lo scambio epistolare tra Marco Bortoli e Vittorio Feltri, pubblicato nelle scorse ore, e destinato a far discutere. L’interrogativo posto da Bortoli non è banale: che cosa rappresenta davvero quella bandiera? E chi sono oggi coloro che la innalzano con tanta leggerezza?
Un simbolo usato senza consapevolezza
Esporre la bandiera palestinese è diventato un gesto automatico, quasi un rituale necessario per chi desidera essere percepito come “dalla parte giusta”. Non importa tanto il significato reale del simbolo, quanto il suo valore percepito nel contesto del politicamente corretto. È qui che nasce una frattura tra forma e sostanza, tra l’immagine pubblica e il contenuto ideologico.
Nel mondo dello spettacolo, secondo quanto sottolinea Bortoli, questa superficialità si è trasformata in abitudine. Attori, cantanti, presentatori si accodano a una narrazione dominante, spesso senza conoscere o comprendere davvero le implicazioni politiche, storiche e culturali legate a quel vessillo.

Il paradosso dei simboli
La replica di Vittorio Feltri non si limita a condividere lo sconcerto del lettore, ma affonda il colpo con una lettura netta: quella bandiera, sostiene il giornalista, non rappresenta un ideale di libertà, ma un regime oppressivo. E nel contesto attuale, essa sarebbe diventata il volto pubblico di Hamas, organizzazione definita da Feltri come terroristica, fondamentalista e brutale.
Secondo questa visione, è grottesco pensare che lo stesso vessillo possa essere associato a quello della pace e dei diritti civili, come ad esempio la bandiera arcobaleno del movimento Lgbtq. Per Feltri, accostare i due simboli significa ignorare una realtà drammatica: dietro Hamas ci sono violazioni sistematiche dei diritti umani, persecuzioni contro donne, omosessuali, dissidenti.
L’accusa al mondo dello spettacolo
Il culmine della riflessione di Feltri si concentra sull’episodio che ha visto Elodie, cantante e attivista per i diritti civili, esibire la bandiera palestinese sul palco di San Siro. Un gesto che, secondo il giornalista, racchiude tutta la contraddizione ideologica del nostro tempo. Elodie, che ha pubblicamente criticato Giorgia Meloni per presunte posizioni sessiste e omofobe, viene accusata di legittimare simbolicamente un sistema repressivo.
Il punto sollevato da Feltri è chiaro: come può una paladina dei diritti civili identificarsi in un simbolo che rappresenta un contesto in cui le donne sono segregate, gli omosessuali perseguitati e l’odio razziale insegnato come dottrina? Si tratta, scrive, non solo di ignoranza, ma anche di fanatismo ideologico.

Il rischio della propaganda travestita da impegno
Secondo Feltri, siamo davanti a un meccanismo pericoloso: la cancellazione della realtà in nome di una propaganda comoda, che permette di apparire ribelli senza mai mettere in discussione davvero nulla. La bandiera palestinese, in questo contesto, diventa un’icona svuotata, uno strumento utile a costruire una propria immagine pubblica “militante”, ma privo di radici nella comprensione concreta dei fatti.
Nel ragionamento del giornalista, la banalizzazione del simbolo porta con sé una conseguenza pesante: la legittimazione indiretta della violenza, dello stupro come “resistenza”, dell’omicidio come “lotta”. È un cortocircuito morale, dice, che dovrebbe preoccupare non solo chi analizza la cronaca, ma soprattutto chi costruisce consenso con simboli di questo tipo.
La sfida della coerenza e della responsabilità
Il dibattito aperto tra lettore e direttore porta dunque alla luce un tema più ampio: il ruolo che le figure pubbliche e l’opinione pubblica ricoprono nella definizione del bene e del male. In un mondo sempre più polarizzato, l’uso dei simboli non può essere slegato dalla realtà che rappresentano. Ogni bandiera è una dichiarazione di valori. E quei valori vanno conosciuti, compresi, assunti con responsabilità.
Nel tempo della comunicazione rapida e delle prese di posizione istantanee, l’appello implicito è alla riflessione consapevole. Perché non tutto ciò che appare giusto lo è davvero, e non sempre chi grida più forte ha ragione. Prima di sventolare un simbolo, forse, dovremmo fermarci a chiederci che cosa davvero stiamo difendendo.