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Lisa muore a 17 anni dopo l’operazione, la Procura: “Condannate i due medici del Bambino Gesù”

Pubblicato: 11/06/2025 09:12

Una vicenda dolorosa, che ha lasciato ferite profonde in una famiglia e acceso un delicato dibattito attorno alla responsabilità medica. Al centro della storia c’è una giovane ragazza, la cui vita si è spezzata troppo presto dopo un intervento considerato necessario e urgente. Il percorso che avrebbe dovuto rappresentare una speranza si è invece trasformato in tragedia, con implicazioni giudiziarie ancora aperte.

Gli eventi risalgono ad alcuni anni fa, ma solo oggi si è arrivati alla richiesta di una condanna nei confronti dei professionisti che hanno avuto in cura la ragazza. Un caso complesso che coinvolge aspetti sanitari, etici e legali, e che vede ora la magistratura esprimere le proprie valutazioni su eventuali negligenze.

La tragedia e la richiesta di condanna

La giovane, Lisa, 17 anni, era stata sottoposta a un trapianto di midollo osseo in un noto ospedale pediatrico della capitale, dopo che alcune analisi avevano evidenziato la necessità urgente dell’intervento. Il tutto era nato da una banale caduta da un monopattino, che aveva portato a scoprire una condizione ematologica grave.

Ad assisterla, due medici dell’équipe ospedaliera, per i quali oggi la Procura ha richiesto pene detentive: due anni per Pietro M. e un anno e sei mesi per Maria Rita P.. L’accusa formulata nei loro confronti è omicidio colposo. La decisione definitiva è attesa il 14 luglio, nell’ambito di un processo celebrato con rito abbreviato.

La ricostruzione della famiglia e il ruolo del fratello

Secondo quanto emerso in aula, diversi fattori avrebbero influito sull’esito fatale. Uno degli elementi evidenziati è la mancata considerazione del fratello della ragazza tra i potenziali donatori. Una scelta che, per l’accusa, avrebbe potuto cambiare il destino di Lisa, nata in Ucraina e adottata nel 2009 da una famiglia italiana.

Il padre adottivo, Maurizio Federico, biologo e parte civile nel procedimento, è assistito dall’avvocato Francesco Bianchi. “Non si tratta di cercare vendetta – ha fatto sapere chi lo rappresenta – ma verità e giustizia per una ragazza che meritava di vivere”.

Le difese, affidate agli avvocati Gaetano Scalise e Felicia D’Amico, hanno sostenuto invece che tutte le procedure siano state rispettate. Ma ora sarà il tribunale a stabilire se davvero ci siano state responsabilità e, se sì, in quale misura.

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