
Il confronto tra Israele e Iran si carica ogni giorno di nuovi elementi, spesso oscuri e difficili da verificare, ma capaci di restituire la drammaticità di una crisi che potrebbe esplodere in un conflitto su scala regionale. Secondo quanto dichiarato da Marco Mancini, ex dirigente del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), la guida suprema iraniana Ali Khamenei si troverebbe attualmente nascosta in un bunker sotterraneo a Lavizan, insieme alla moglie e ai figli.
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Un’informazione rivelata nel corso di un’intervista all’agenzia NOVA, e che – se confermata – segnerebbe un’escalation importante nel livello di allerta della leadership iraniana. A fare ancora più rumore, però, è la presunta infiltrazione dell’intelligence israeliana tra le file stesse dei Pasdaran.
Khamenei e la famiglia nascosti in un bunker antiatomico
Secondo Mancini, Khamenei si troverebbe a circa 90-100 metri sotto terra, in un complesso protetto da sistemi antibomba e antiaereo, nel quartiere di Lavizan, alla periferia nordorientale di Teheran. Insieme a lui, la moglie Mansoureh Khojasteh Bagherzadeh e i figli – quattro maschi e una femmina – tra cui Mojtaba Khamenei, indicato da molti osservatori come il possibile successore alla guida del sistema teocratico iraniano.
La scelta di rifugiarsi in un bunker così profondo e protetto lascia intendere un livello massimo di allerta da parte della leadership iraniana, che evidentemente teme non solo attacchi militari, ma anche eventuali colpi interni.

Agenti del Mossad anche tra i Pasdaran
Il passaggio più esplosivo delle dichiarazioni di Mancini riguarda però l’intelligence. Secondo l’ex numero due del Sismi, il Mossad avrebbe infiltrato agenti non solo tra i civili dissidenti, ma addirittura all’interno dei Guardiani della rivoluzione. «Quando dico “struttura che collabora con il Mossad”, intendo anche uomini dei Pasdaran», ha dichiarato Mancini.
Si tratterebbe, se verificato, di un elemento destabilizzante per l’intero apparato di sicurezza iraniano, da sempre considerato impermeabile e fedele alla guida suprema. La capacità di Israele di raccogliere informazioni logistiche, visive e operative dall’interno stesso del regime rappresenterebbe un vantaggio strategico determinante.
L’obiettivo non è solo l’apparato nucleare
Stando alle parole di Mancini, l’obiettivo principale dello Stato ebraico non sarebbe solo la distruzione del programma nucleare iraniano, ma la neutralizzazione fisica della leadership politica e religiosa. In cima alla lista ci sarebbe proprio Ali Khamenei, la figura simbolo e guida ideologica del regime.
Una prospettiva che renderebbe ancora più complesso e pericoloso lo scenario attuale. «Israele – ha spiegato Mancini – non si limita a monitorare gli impianti nucleari. Mira anche a colpire i vertici del potere iraniano. Questo approccio cambia radicalmente la natura del confronto: non più solo una battaglia per impedire lo sviluppo dell’arma atomica, ma una vera e propria guerra di decapitazione del regime».

Una rete operativa sul campo
Il funzionamento della rete messa in piedi dall’intelligence israeliana sarebbe frutto di una lunga attività di reclutamento e collaborazione interna. «È questa la forza di Israele – aggiunge Mancini – avere agenti sul posto che condividono in tempo reale informazioni cruciali». Questo consentirebbe al Mossad non solo di prevedere le mosse del regime, ma anche di anticiparle, colpendo in punti nevralgici.
Secondo alcuni analisti, una tale capacità operativa sul terreno iraniano è ciò che ha permesso in passato a Israele di effettuare sabotaggi mirati, come quelli agli impianti di Natanz o agli scienziati coinvolti nello sviluppo nucleare.
Una minaccia interna che cambia il volto della crisi
La possibile infiltrazione tra i Pasdaran, se confermata, rappresenta un punto di svolta nella crisi israelo-iraniana. Non si tratterebbe più solo di uno scontro tra due potenze ostili, ma di una guerra asimmetrica, in cui l’intelligence gioca un ruolo centrale, accanto alla minaccia convenzionale e missilistica.
Un regime che teme il tradimento interno è un regime più fragile. E la fuga di Khamenei nel bunker di Lavizan, se vera, non è solo un gesto precauzionale: è il simbolo di una leadership assediata, non solo da nemici esterni ma forse anche da crepe interne difficili da sanare.