
Con la remissione di querela presentata ieri, 18 giugno, davanti al gup Gianmarco Giua, si è chiuso definitivamente sul piano penale il drammatico caso di Rossella Nadalutti, la giovane di Cles rimasta tetraplegica dopo un ictus ischemico non diagnosticato nell’agosto del 2020. Un epilogo giudiziario che arriva a quasi cinque anni dall’inizio di un’odissea familiare e personale che ha cambiato per sempre la vita della 27enne, allora studentessa di lingue a Trieste e in procinto di partire per Manchester.
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Un risarcimento da oltre due milioni, ma “la mia vita non tornerà mai com’era”
Il procedimento, aperto per lesioni colpose gravissime in ambito medico, si conclude con l’estinzione del reato a seguito della remissione di querela da parte della famiglia, in cambio di un risarcimento di poco più di due milioni di euro. Un importo che servirà a garantire a Rossella una nuova casa e un’assistenza più adeguata, ma che non potrà restituirle l’autonomia perduta.
«Anche con il risarcimento non avrò più la vita di prima», ha dichiarato con amarezza la giovane. Da quel 20 agosto 2020, Rossella vive costretta tra il letto, il bagno e la cucina. Uscire è diventato quasi impossibile. Ogni spostamento richiede almeno due o tre persone, anche solo per portarla giù per le scale. La speranza ora è acquistare una nuova abitazione fuori dal Trentino, probabilmente in Friuli, accessibile e adatta alla nuova realtà, e dotarsi di un furgoncino attrezzato per facilitare gli spostamenti.

“Nessun responsabile”: la delusione di una famiglia
Nonostante la fine del processo, resta intatto il senso di incredulità e rabbia da parte della famiglia Nadalutti. Cinque i medici degli ospedali di Cles e Trento coinvolti nell’inchiesta — assistiti dagli avvocati Nicola Stolfi, Giuliano Valer, Roberto Bertuol, Claudio Failoni e Massimo Zanoni — per i quali la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio. Ma con la remissione, nessuno verrà processato.
«Rimane la tragedia», ha dichiarato l’avvocata di parte civile Elena Valenti, sottolineando come a distanza di cinque anni non ci sia un solo nome da ritenere responsabile per quanto accaduto. Più dura ancora la madre di Rossella, Simonetta Tondon, che da allora si prende cura notte e giorno della figlia: «Abbiamo accettato di chiudere perché Rossella non poteva più vivere così», racconta. Il denaro ricevuto sarà in gran parte impiegato per migliorare la sua qualità di vita. Ma la ferita morale resta aperta.
Diagnosi mancata: quei giorni che hanno cambiato tutto
Rossella si era recata al pronto soccorso di Cles con sintomi chiari: formicolii, mal di testa e un forte dolore all’orecchio sinistro. Campanelli d’allarme che, secondo gli accertamenti, se correttamente interpretati entro le sei ore dall’arrivo, avrebbero potuto portare a un netto miglioramento del quadro clinico. Invece, fu valutata come una crisi di natura psichiatrica e trasferita solo in un secondo momento all’ospedale di Trento.
Qui le venne eseguita una tac, ma la diagnosi definitiva arrivò soltanto il 24 agosto, tramite una risonanza magnetica. Troppo tardi. «Quattro giorni persi che l’hanno resa tetraplegica», denuncia con lucidità e dolore la madre.

Nessun contatto dall’Azienda sanitaria
A rendere tutto ancora più amaro, è il silenzio dell’Azienda sanitaria, che in questi cinque anni non ha mai contattato la famiglia Nadalutti. «I medici implicati continuano a lavorare», denuncia Simonetta, con un senso di ingiustizia che nessuna somma potrà lenire.
Nel frattempo, Rossella guarda avanti. Con l’aiuto dei familiari e qualche strumento in più per muoversi, sogna una nuova quotidianità, per quanto limitata, in una casa che non la tenga prigioniera. Ma l’autonomia, quella vera, è una conquista che le è stata strappata per sempre.