
Diciotto anni dopo il delitto, l’omicidio di Chiara Poggi potrebbe vivere una nuova svolta grazie a una serie di analisi scientifiche indipendenti condotte da un esperto bresciano. Non si tratta di nuovi testimoni né di confessioni improvvise: a riaccendere i riflettori sul caso è l’attenta lettura di fotografie, impronte e tracce ematiche da parte di Enrico Manieri, specialista in Bloodstain Pattern Analysis, che ha lavorato in autonomia sui materiali dei rilievi del 2007. Le sue osservazioni, oggi al vaglio della difesa di Alberto Stasi, potrebbero riaprire interrogativi rimasti a lungo sepolti.
Il dettaglio della cornetta e la macchia impossibile
Il primo elemento che Manieri definisce “incongruente” riguarda il telefono rinvenuto nella casa dei Poggi. In una fotografia, la cornetta sembra al suo posto. In un’altra, è spostata e sotto di essa compare una macchia di sangue. “Come può una goccia di sangue finire sotto la cornetta se questa era ancora in sede?”, si chiede Manieri. Per rispondere ha ricreato la scena acquistando due telefoni identici e tentando più volte di riprodurre la stessa macchia: senza successo. “O la cornetta è stata spostata prima – afferma – oppure è successo qualcosa che l’ha fatta cadere, ma in entrambi i casi ci troveremmo davanti a un elemento sottovalutato”.
Sullo stesso mobile è stato notato anche un vasetto rovesciato, forse colpito durante un urto. Ma ciò che secondo l’analista risulta ancor più inspiegabile è l’assenza di impronte insanguinate sul telefono: “Se la vittima fosse riuscita a toccarlo dopo l’aggressione, dovremmo trovarne traccia. E invece non c’è nulla”.
La scala e il trasporto del corpo: un secondo paio di mani?
Il secondo focus dell’indagine riguarda la scala a chiocciola su cui fu ritrovato il corpo della ragazza. Al centro dell’attenzione c’è la cosiddetta impronta 33, un segno del palmo di una mano sulla parete destra. Subito sotto, allineata sullo stesso asse, una traccia di suola non riconducibile alle scarpe note.
La scena, secondo Manieri, suggerisce che chi trasportava il corpo abbia perso l’equilibrio, cercando appoggio con entrambe le mani, e lasciando così cadere il cadavere lungo i gradini. “La posizione finale, incastrata tra parete e scalino, è coerente con una caduta rovinosa”, spiega, “e le tracce di sangue indicano che la testa ha toccato per prima ogni gradino centrale, come se fosse stata al centro della discesa”.
Spunta una seconda impronta: la pista di Groppello
L’elemento più controverso riguarda una seconda impronta di scarpa nel sangue, diversa da quella appartenente alle scarpe Frau numero 42 già al centro dei processi. Secondo l’esperto, la suola corrisponderebbe a un altro paio di scarpe ritrovate nel 2007 in un fosso a Groppello Cairoli, insieme a indumenti mai attribuiti.
La connessione tra i due luoghi è stata mappata da alcuni utenti online: il canale che passa dietro la villetta dei Poggi confluisce proprio in quel tratto in cui furono scoperti i reperti. “La polizia allora pensò di drenarlo, ma la corrente era troppo forte”, ricorda Manieri, “e un oggetto gettato lì potrebbe aver percorso quel tragitto”.
“Due persone sulla scena, è l’ipotesi più logica”
A fronte di impronte diverse, una dinamica complessa e un trasporto del corpo difficile da gestire da soli in uno spazio angusto, Manieri ritiene “concreto” il coinvolgimento di almeno due persone nella scena del crimine. “Non è una suggestione, ma una deduzione basata su elementi oggettivi”, afferma, “una sola persona avrebbe avuto enormi difficoltà a muoversi senza lasciare ulteriori tracce”.
Ha condiviso i risultati con la difesa di Alberto Stasi, sottolineando di non voler prendere parte ma solo fornire spunti di riflessione tecnica. “La verità ha ancora diritto di emergere – conclude – purché ci si affidi alla scienza, alla logica e all’onestà intellettuale”.
Gli effetti: verità storica o svolta giudiziaria?
Sul piano giudiziario, tuttavia, lo stesso Manieri è cauto. “Oggi abbiamo solo fotografie sgranate, e pochi reperti fisici ancora disponibili”, osserva. “Una corte avrebbe strumenti fragili su cui basarsi. Ma sulla verità storica si può ancora intervenire, almeno per chiarire ciò che finora è stato trascurato”.
Intanto, la procura di Pavia sta conducendo nuove verifiche, e un capello lungo tre centimetri estratto di recente da un vecchio sacco dei rifiuti è ora in fase di analisi genetica. A diciotto anni dal delitto, il caso Garlasco continua a inquietare, e a interrogare, nel profondo, la coscienza pubblica.