
Un racconto intimo e toccante, quello di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, ospite d’eccezione della prima puntata di Noos – L’avventura della conoscenza, il programma di Alberto Angela andato in onda lunedì 23 giugno su Rai 1. Davanti al pubblico televisivo, il cantautore ha rivelato un episodio drammatico della sua infanzia, rimasto scolpito nella memoria: una malattia che lo ha colpito all’età di due anni e che avrebbe potuto avere esiti fatali.
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“A due anni mi sono ammalato e avrei fatto parte di quelle percentuali di mortalità infantile”, ha dichiarato Jovanotti con la semplicità di chi ha fatto pace con il proprio passato. Un racconto che, più che una confessione, è stato un omaggio alla medicina, alla sanità pubblica e al coraggio delle famiglie che affrontano malattie complesse nei primi anni di vita dei figli.
Una malattia misteriosa e l’intervento salvifico dei medici
Il ricordo del cantante prende corpo attorno a un quadro clinico poco chiaro. All’età di due anni, Lorenzo si ammala di una forma acuta di enterite. I medici, ha raccontato, non riuscivano a comprendere con precisione la natura del problema: “Io mi stavo spegnendo. Ero magrissimo, non assimilavo il cibo e avevo la febbre altissima”. Una situazione clinica che peggiorava rapidamente, lasciando spazio all’impotenza e alla paura.

Il padre del cantante decide allora di portarlo al Bambin Gesù, l’ospedale pediatrico di Roma, dove finalmente un medico interviene con decisione: “Mi mise in una vasca di acqua fredda perché avevo la febbre a 40”. Un gesto semplice, ma essenziale in quel momento. Jovanotti resta ricoverato per due mesi, in bilico tra la vita e la morte. “Mi salvarono”, ha detto senza giri di parole, con una gratitudine evidente nella voce.
Un messaggio di fiducia nella sanità pubblica
“Devo la mia vita ai medici”, ha affermato il cantante durante l’intervista, sottolineando la sua riconoscenza verso il sistema sanitario. Ma non è solo una testimonianza individuale: dalle sue parole traspare un messaggio più ampio, di fiducia e rispetto per la sanità pubblica italiana.
“Credo che il nostro sistema sanitario è una delle ricchezze del nostro Paese”, ha detto Jovanotti. Una dichiarazione che arriva in un periodo storico in cui il tema della sanità pubblica è spesso al centro del dibattito politico e sociale. Le sue parole suonano come un appello a difendere e valorizzare un patrimonio collettivo che, pur tra difficoltà e carenze, rappresenta ancora una rete di salvezza concreta per milioni di cittadini.
La vulnerabilità che diventa forza
Nel racconto di Jovanotti non c’è spettacolarizzazione, né compiacimento. Piuttosto, emerge un rapporto profondo con la fragilità, che negli anni si è trasformato in consapevolezza e forza. La sua esperienza da paziente in tenera età ha segnato un legame speciale con la medicina, ma anche con il concetto stesso di cura.
Condividere una parte così intima della propria storia personale in un contesto divulgativo e televisivo come Noos, condotto da una figura autorevole come Alberto Angela, contribuisce a umanizzare la scienza e chi ne beneficia. La medicina non come atto tecnico, ma come gesto umano che salva.
Un esempio che diventa testimonianza
Le parole di Jovanotti trovano eco in tante storie simili, meno note ma altrettanto significative. Sono migliaia i bambini curati ogni anno negli ospedali pubblici italiani, grazie al lavoro di medici, infermieri e personale sanitario. Storie spesso invisibili, che raramente trovano spazio nei grandi media, ma che costruiscono il volto autentico di un sistema sanitario che, pur imperfetto, continua a garantire il diritto alla salute.

In questo senso, la testimonianza del cantautore assume anche un valore simbolico: dimostra come la malattia e la guarigione non siano esperienze che dividono, ma che uniscono, raccontando la dimensione più fragile e potente dell’essere umano. Un messaggio di speranza e riconoscenza che arriva dritto al cuore del pubblico.
Jovanotti, con la consueta semplicità, ha reso omaggio non solo ai medici che lo salvarono, ma a tutti coloro che, nel silenzio e nella dedizione quotidiana, continuano a prendersi cura degli altri. Un racconto che, nella sua sincerità, lascia il segno e invita a guardare alla medicina non solo con fiducia, ma con gratitudine.