
Un appunto rimasto nell’ombra per più di trent’anni riapre uno dei capitoli più oscuri della storia giudiziaria italiana: la scomparsa della famosa agenda rossa di Paolo Borsellino, il diario su cui il magistrato annotava pensieri e informazioni riservate nei giorni più intensi della sua vita, fino alla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992.
Secondo quanto rivelato dalla Procura di Caltanissetta, quella stessa agenda — o una simile — sarebbe stata consegnata il giorno successivo all’attentato a Giovanni Tinebra, all’epoca procuratore capo a Caltanissetta, da Arnaldo La Barbera, allora capo della Squadra mobile di Palermo e figura chiave nel successivo depistaggio legato al falso pentito Vincenzo Scarantino.
Il dato emerge da un appunto manoscritto datato 20 luglio 1992 e firmato da La Barbera, in cui si legge:
“In data odierna, alle 12, viene consegnato al dr. Tinebra uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle ed una agenda appartenenti al giudice Borsellino”.
Tuttavia, nessuna firma per ricevuta compare a margine del documento e lo stesso appunto non era mai stato trasmesso ufficialmente alla Procura, né La Barbera ne aveva mai parlato durante gli interrogatori processuali. Proprio per questo, i magistrati nisseni — guidati da Salvatore De Luca — hanno ordinato una serie di perquisizioni nelle tre abitazioni riconducibili a Tinebra: due in provincia di Caltanissetta e una ad Acicastello (Catania), oltre a una cassetta di sicurezza bancaria, trovata vuota.
Il risultato? Nessuna traccia dell’agenda rossa.
Gli inquirenti ipotizzano che, se la consegna fosse davvero avvenuta, La Barbera avrebbe avuto tempo e modo di prelevare o copiare il contenuto dell’agenda, prima della consegna. Il sospetto è che l’agenda scomparsa contenga informazioni così delicate da aver scatenato un’operazione di occultamento sistemico, culminata nel “più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”, come lo definiscono gli stessi magistrati.
Il legame con la massoneria e il ruolo di Tinebra
L’indagine illumina anche altri aspetti controversi: Giovanni Tinebra sarebbe stato affiliato a una loggia massonica coperta di Nicosia, in provincia di Enna, dove fu in servizio fino al 1992. Una rete di potere che, secondo diversi collaboratori di giustizia — tra cui Gioacchino Pennino — si sarebbe sviluppata sulle ceneri della P2 per infiltrarsi negli apparati pubblici e influenzare inchieste e carriere.
Tinebra fu a capo della procura proprio durante l’indagine che, invece di far luce sui veri mandanti dell’attentato a Borsellino, diede credito alle dichiarazioni manipolate di Scarantino, costruite — secondo diverse sentenze e indagini — grazie a pressioni e falsificazioni orchestrate da La Barbera. Entrambi i protagonisti di quella stagione — Tinebra e La Barbera — sono oggi scomparsi, il primo nel 2017, il secondo già nel 2002.
Una verità ancora lontana
L’agenda rossa resta introvabile, ma la pista investigativa — tornata viva — punta dritta nel cuore delle istituzioni che avrebbero dovuto garantire giustizia per il magistrato ucciso dalla mafia. Non è la prima volta che si parla di cerchi ristretti, apparati deviati, massonerie coperte e regie parallele.
Ma oggi, per la prima volta, il nome di Giovanni Tinebra entra con forza nell’inchiesta nissena non solo per le sue responsabilità d’ufficio, ma anche per un possibile ruolo nella catena che portò alla scomparsa dell’agenda rossa. Una catena che continua a mantenere, dopo più di trent’anni, il suo mistero e la sua forza simbolica.