
Non ha mai avuto dubbi, Edoardo Bove. Neppure quando il mondo gli è crollato addosso, in quei lunghissimi minuti di paura durante Fiorentina–Inter, lo scorso inverno, quando il suo cuore si è fermato all’improvviso, davanti a migliaia di occhi attoniti. Eppure oggi, dopo mesi di esami, silenzi e determinazione, il centrocampista classe 2001 è pronto a tornare là dove ha sempre voluto essere: su un campo da calcio. Forse non in Italia, almeno non subito, ma con una certezza nel cuore: il calcio non è finito per lui.
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Un percorso riservato, fatto di test e determinazione
Negli ultimi mesi Edoardo Bove ha intrapreso un percorso riservato e coraggioso. Dopo l’arresto cardiaco e l’intervento per l’impianto del defibrillatore sottocutaneo, ha iniziato a sottoporsi a una serie di controlli per verificare le sue reali condizioni di salute. Tutti i test clinici finora effettuati hanno dato esito negativo — un termine che, in questo caso, significa soltanto una cosa: idoneità.
Manca soltanto l’ultimo esame, una formalità secondo quanto trapela. Un passo finale prima di poter dire con certezza: “Sono tornato”. Per Bove, però, non si è mai trattato di un ritorno. Anche nei momenti più bui, quando qualcuno gli proponeva un futuro da collaboratore tecnico o dirigente, la risposta è sempre stata la stessa: “Io voglio giocare”.

Il nodo del defibrillatore e la legge italiana
Oggi, il vero ostacolo non è medico, ma legislativo. In Italia, le normative attuali vietano di praticare attività sportiva agonistica a chi è portatore di un defibrillatore sottocutaneo. Una regola pensata per proteggere gli atleti, ma che oggi è oggetto di un intenso dibattito. La stessa situazione fu affrontata anche da Christian Eriksen, che ha potuto tornare a giocare soltanto grazie al trasferimento in Inghilterra, dove la legge consente di scendere in campo assumendosi la piena responsabilità.
Per questo, ad oggi, il destino sportivo di Bove sembra orientarsi verso l’estero. È questa, al momento, la strada più percorribile per rimettersi in gioco, in attesa di possibili modifiche normative che potrebbero cambiare tutto.
Il futuro tra Roma, Fiorentina o un nuovo club straniero
Dall’1 luglio, Edoardo Bove farà rientro ufficiale alla Roma, dal momento che con la Fiorentina non è scattato l’obbligo di riscatto legato al numero di presenze. A quel punto, il centrocampista si troverà davanti a tre opzioni: restare a Roma, tornare a Firenze in prestito, oppure scegliere un club all’estero, dove la normativa gli consenta di giocare subito.
La terza ipotesi sembra la più probabile, almeno nell’immediato. Giocare fuori dall’Italia significherebbe tornare subito in campo, senza dover attendere modifiche legislative che, pur essendo allo studio, potrebbero richiedere ancora tempo.
Verso una possibile svolta legislativa
La vicenda di Bove, però, sta smuovendo anche le istituzioni. Maurizio Casasco, presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana, è stato recentemente contattato dal ministro dello Sport Andrea Abodi, con l’obiettivo di modificare la legge italiana per adeguarla agli standard di altri paesi. Il modello di riferimento è proprio quello inglese: permettere agli atleti con defibrillatore impiantato di giocare assumendosi la responsabilità personale, previa idoneità medica.
Una prospettiva che potrebbe aprire nuove possibilità non solo per Bove, ma per molti altri atleti in situazioni analoghe. E che ridarebbe dignità a chi, pur avendo subito un grave incidente, ha tutte le carte in regola per continuare la propria carriera.

Il calcio come orizzonte, nonostante tutto
Il cuore di Edoardo Bove si è fermato per qualche secondo in quella drammatica sera di campionato. Ma il suo sogno no. Quello ha continuato a battere forte, sotto pelle, alimentato dalla voglia di tornare in campo, di sentirsi ancora calciatore, di sfidare la paura con la stessa determinazione con cui si affronta una partita difficile.
Oggi Bove è pronto a ripartire. Lo farà altrove, se servirà. Ma con in testa un obiettivo chiaro: tornare a giocare a calcio. Per sé stesso, per chi gli è stato accanto, e forse anche per cambiare un sistema che troppo spesso si dimentica che dietro ogni atleta c’è una persona. Con un cuore vero. Che vuole continuare a battere. Anche sul prato verde.