
C’è un’aula silenziosa, come tante in questi giorni, dove un ragazzo si prepara a sostenere la prova orale della maturità. Come migliaia di suoi coetanei, ha studiato, letto, ripassato. Ma il suo presente non è fatto di risate tra i banchi, né di sogni da condividere con amici. È fatto di celle, corridoi, visite concesse, incontri vigilati. Perché la sua storia, benché ancora giovanissima, è già segnata da un crimine che ha lasciato un intero Paese senza parole.
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Un esame dopo cento coltellate
Succede in Italia, e sembra una contraddizione dolorosa e disarmante. Si può sostenere un esame di Stato mentre si sconta una condanna per triplice omicidio? La legge lo permette, la realtà lo tollera. E così, Riccardo Chiarioni, oggi diciottenne ma minorenne all’epoca dei fatti, questa mattina ha affrontato l’ultima prova della maturità scientifica. Una normale commissione, i suoi stessi professori. Ma la sua condizione non è più quella dello studente: è quella del detenuto.
Vent’anni per aver ucciso la famiglia
Solo pochi giorni fa, venerdì scorso, è arrivata la condanna del Tribunale per i minorenni di Milano: vent’anni di reclusione per aver ucciso con 108 coltellate il fratellino di 12 anni, Lorenzo, la madre Daniela di 48 anni e il padre Fabio, di 51. La strage si è consumata il 31 agosto dello scorso anno, nell’abitazione di famiglia a Paderno Dugnano. Riccardo aveva confessato immediatamente, dichiarando: “Volevo cancellare la mia vita di prima”, aggiungendo che da tempo provava un senso di malessere e desiderava vivere “in modo libero”.
A distanza di mesi, la sentenza arriva con un peso definito “durissimo” dal suo avvocato Amedeo Rizza, che ha annunciato ricorso in appello, anche per la mancata concessione del vizio parziale di mente. Proprio questa componente è stata al centro di numerose perizie, tra cui quella firmata dallo psichiatra Franco Martelli e depositata il 14 marzo: Riccardo sarebbe stato “parzialmente incapace di intendere e volere”, immerso in una realtà propria, fantastica, chiamata “mondo dell’immortalità”. Per raggiungerla, secondo quanto ricostruito, riteneva necessario eliminare ogni affetto terreno.

I timori per la salute psichica del ragazzo
Dopo la lettura della sentenza, l’avvocato ha espresso preoccupazione per lo stato emotivo del ragazzo: “Non so come reagirà alla botta. Pavento il peggio, temo gesti autolesionistici”. Per questo motivo è stata già richiesta una nuova visita psichiatrica, prevista proprio alla fine dell’interrogazione d’esame.
Il rapporto con la scuola non si è mai interrotto, neanche nei giorni immediatamente successivi alla strage. Il giovane avrebbe dovuto sostenere un esame di recupero in matematica, e in un primo momento si ipotizzò che avesse tenuto nascosto questo debito ai genitori, temendo la loro reazione. Una teoria presto smentita: “I familiari ne erano perfettamente a conoscenza”, ha dichiarato il legale.
Lo studio dietro le sbarre e l’appoggio dei nonni
Dopo un primo periodo di detenzione all’istituto Beccaria di Milano, Riccardo è stato trasferito in quello di Firenze, dove ha continuato a studiare. Qui riceve le visite settimanali dei nonni, sia materni che paterni, i quali hanno sempre ribadito: “Non lo abbandoneremo mai”. Anche l’avvocato, già da mesi, gli aveva fornito i libri per prepararsi: “Mi aveva detto subito che voleva ottenere la maturità, e in futuro anche laurearsi in una facoltà, probabilmente scientifica”.
Nel frattempo, Riccardo ha frequentato anche corsi di arte e pianoforte. Ma tutta la sua concentrazione, assicura il legale, era rivolta alla prova d’esame: “È intelligentissimo, serio, lo passerà a occhi chiusi”.

Un caso che interroga la giustizia e la coscienza
Il caso solleva interrogativi profondi: sulla gestione della giustizia minorile, sul peso delle perizie psichiatriche, sul valore del perdono e della riabilitazione. “La gravità del fatto non è in discussione”, ha sottolineato l’avvocato Rizza, “ma non si può dare il massimo della pena con il riconoscimento di due attenuanti generiche”. Da qui la scelta di impugnare la sentenza.
Resta, infine, l’immagine di un ragazzo solo, seduto di fronte a una commissione, intento a parlare di scienza, letteratura o filosofia, nel giorno in cui il mondo fuori ha appena deciso che per i prossimi vent’anni non sarà più libero.