
Per due anni, ogni mese, una ragazza americana di 23 anni ha varcato le porte del pronto soccorso della sua città, sopraffatta da crisi violente di vomito, nausea debilitante e dolori addominali intensi. I medici hanno tentato ogni via: test diagnostici, terapie per disturbi gastrointestinali legati al suo diabete di tipo 1, persino procedure invasive. Ma nulla sembrava portare sollievo. Solo un esame delle urine, e un dettaglio apparentemente secondario, hanno permesso ai sanitari del Piedmont Athens Regional Medical Center, in Georgia, di scoprire l’origine dei suoi disturbi: la sindrome da iperemesi da cannabinoidi, nota come CHS.
La giovane, infatti, faceva uso abituale e massiccio di cannabis – cinque giorni su sette, da tempo. E aveva rivelato ai medici un sollievo parziale che otteneva solo con lunghi bagni caldi. Un sintomo peculiare e documentato della CHS, tanto che è considerato un indizio chiave per la diagnosi. Dopo aver sospeso il consumo della sostanza, sotto supervisione medica, la paziente è rimasta asintomatica per due mesi. Ma al ritorno dell’uso, le crisi si sono ripresentate. La correlazione è stata inequivocabile.

La Cannabinoid Hyperemesis Syndrome è una condizione clinica ancora poco conosciuta e spesso sottovalutata. Colpisce alcuni consumatori cronici di cannabis, provocando disturbi gastrointestinali severi, in particolare vomito ciclico e nausea persistente. Tra i sintomi tipici, oltre alla frequenza degli episodi, vi è proprio la ricerca di sollievo attraverso docce o bagni caldi, un comportamento quasi esclusivo nei pazienti affetti da questa sindrome.
Secondo lo studio pubblicato sull’American Journal of Case Reports, l’eziologia della CHS non è del tutto chiara. I sospetti si concentrano su una combinazione di THC, CBD e CBG, i principali cannabinoidi attivi della marijuana. Tuttavia, il CBD isolato, cioè privo di THC, non risulta collegato alla sindrome.
Una sindrome in crescita tra i giovani
Con la diffusione crescente della cannabis, soprattutto in Paesi dove è legale o tollerata, i casi di CHS stanno aumentando. Secondo l’American Nurse Journal, la sindrome è ancora spesso ignorata o mal diagnosticata, soprattutto in pazienti con patologie croniche come il diabete, nei quali i sintomi possono sovrapporsi ad altri disturbi.
Il caso della 23enne, seguito dai medici Raissa Nana Sede Mbakop e Dominic Amakye, evidenzia l’importanza di una anamnesi farmacologica dettagliata, anche in pazienti insospettabili. Il semplice esame delle urine è stato determinante per formulare una diagnosi corretta.
Informazione, prevenzione e rischio
Il caso solleva anche questioni più ampie. A fronte della percezione comune della cannabis come sostanza “naturale” e sicura, i rischi legati a un uso continuativo e non controllato restano sottovalutati. La CHS non è mortale, ma può compromettere fortemente la qualità della vita e portare a ripetuti accessi in pronto soccorso, con costi sanitari significativi.
Nel caso della giovane americana, è stato solo l’abbandono della sostanza a interrompere il ciclo di sofferenza. Il messaggio, per pazienti e medici, è chiaro: non escludere mai il consumo di cannabinoidi nella valutazione di sintomi gastrointestinali inspiegabili. Anche perché, in certi casi, la cura è tanto semplice quanto difficile: smettere.