
Alle 13.38 e 39 del 12 giugno, il volo Air India 171 decolla dalla pista bollente di Ahmedabad, diretto a Londra Gatwick. A bordo, 241 persone: famiglie, turisti, uomini d’affari, equipaggio. Sono passati appena tre secondi dal distacco da terra, quando accade qualcosa che, secondo i tecnici, non è frutto del caso né di un errore. È un gesto preciso, rapido, eseguito con quella che viene chiamata memoria muscolare. Il comandante Sumeet Sabharwal, pilota esperto e con la fedina aeronautica impeccabile, sposta le levette del carburante su “Cutoff”. Prima il motore sinistro, poi il destro. Il Boeing resta senza spinta. In volo.
In cabina, pochi istanti prima, il comandante aveva affidato il decollo al primo ufficiale Clive Kunder. «L’aereo è nelle tue mani», si sente nella registrazione audio. Una frase apparentemente di routine, ma che alla luce delle indagini ora sembra una trappola, una decisione fredda e lucida da parte di un uomo da tempo afflitto da depressione, secondo testimonianze raccolte da fonti interne all’Air India.
Alle 13.38 e 44, il microfono di bordo registra il panico:
«Perché hai spento i motori?», chiede Kunder.
«Non l’ho fatto», risponde Sabharwal, con voce impassibile.
Ma i dati di volo e le registrazioni interne raccontano un’altra verità. Gli audio della cabina hanno catturato il click secco delle due levette spostate, il rumore inequivocabile del passaggio da “Run” a “Cutoff”, confermato anche dal Flight Data Recorder. In pochi istanti, gli schermi si spengono, il jet è in caduta libera. Il copilota tenta disperatamente di riavviare i motori, riportando le levette su “Run”, ma è troppo tardi: l’aereo è già sotto la quota minima per la ripresa.
Alle 13.39 e 5 secondi parte l’ultimo disperato messaggio radio: “Mayday”. Poi, il silenzio. Sei secondi dopo, anche le scatole nere smettono di registrare. Il Boeing si schianta contro diversi edifici poco fuori Ahmedabad. Nessuno sopravvive: 260 vittime, compresi 19 civili a terra.
L’inchiesta, condotta congiuntamente da autorità indiane, Boeing e FBI, si è subito concentrata su un gesto tanto assurdo quanto deliberato. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera e dal Wall Street Journal, Sabharwal non esitò un istante, e l’ipotesi che abbia scelto di sacrificare l’intero volo sembra farsi sempre più concreta. Nessun segnale di disturbo nei giorni precedenti. Nessun comportamento sospetto. Solo il vuoto di una mente che forse aveva già deciso tutto.
Una tragedia destinata a segnare la storia dell’aviazione. Una catastrofe silenziosa in cui la linea sottile tra fiducia e fatalità si è spezzata. E a restare, ora, è solo la domanda più inquietante: come si ferma un disastro quando nasce nel cuore stesso della cabina di comando?