
Le vicende giudiziarie che coinvolgono volti noti della politica nazionale non sono mai semplici. Dietro i comunicati ufficiali e le prese di posizione dei partiti, si nascondono dinamiche intricate che toccano la gestione di enti, società e cooperative legate, direttamente o indirettamente, alla vita pubblica. In questo scenario, tra documenti d’indagine, ipotesi investigative e difese già impostate, si muove il caso Rear: una cooperativa di servizi di Torino, da anni attiva nel settore degli appalti pubblici, oggi al centro di un’indagine giudiziaria che coinvolge esponenti di primo piano del Partito Democratico piemontese.
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A emergere sono sospetti pesanti: stipendi pagati anche quando i dipendenti non lavoravano, affitti di immobili a spese della cooperativa ma utilizzati a fini privati, e fondi pubblici presumibilmente mal gestiti. Tutto ruota attorno alla figura dell’onorevole Mauro Laus, ex presidente del consiglio regionale del Piemonte, ora deputato e capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, che per anni ha guidato la Rear e che, secondo le ipotesi degli investigatori, avrebbe continuato a beneficiarne indirettamente anche dopo aver lasciato le cariche ufficiali.
Otto indagati, coinvolta l’intera famiglia Laus
La Guardia di finanza ha notificato lunedì l’avviso di conclusione delle indagini a otto persone. Oltre a Mauro Laus, risultano indagati la moglie Maria Cardone, i figli Vittorio e Giuseppe, la cognata Valeria Cardone (oggi amministratrice delegata della cooperativa), il presidente Antonio Munafò e due noti politici torinesi del Pd: l’assessore comunale Mimmo Carretta e la presidente del consiglio comunale Maria Grazia Grippo.
Le accuse ipotizzate sono infedeltà patrimoniale e malversazione ai danni dello Stato. Secondo il pubblico ministero Alessandro Aghemo, alcune delle somme versate dalla cooperativa non sarebbero state giustificate da attività lavorative effettive, ma da rapporti fittizi o da assenze sistematiche. In più, alcuni immobili a Torino, Roma e Riva del Garda, intestati alla Rear, sarebbero stati usati da Laus per scopi privati, pur risultando a bilancio come spese aziendali.

Stipendi versati senza prestazione lavorativa
Una delle questioni più rilevanti riguarda il versamento di stipendi in assenza di lavoro svolto. È il caso dello stesso Mauro Laus, che – dopo aver lasciato le cariche nella Rear nel 2013 – ha continuato a percepire un compenso come quadro aziendale, anche nei 205 giorni in cui era impegnato nei lavori parlamentari, tra il 2018 e il 2021.
Situazione simile per Mimmo Carretta, dipendente in aspettativa dal 2021: prima di allora, avrebbe ricevuto stipendi per 80 giornate in cui era assente per impegni politici. Ancora più rilevante il caso di Maria Grazia Grippo, assunta dalla cooperativa nel 2018 (quando era già consigliera comunale) e dimessasi nel 2022: secondo l’indagine, avrebbe ricevuto compensi anche per 507 giornate in cui partecipava alle attività del consiglio comunale, spesso senza permesso o con autorizzazioni minime.
Sotto la lente anche i figli di Laus: Vittorio e Giuseppe avrebbero continuato a percepire lo stipendio anche nei giorni in cui erano impegnati in attività universitarie, sostenendo esami o seguendo corsi. Una prassi che, se confermata, delineerebbe un utilizzo privato e distorto delle risorse cooperative.

Finanziamento pubblico usato per coprire stipendi?
Un ulteriore elemento critico riguarda l’ipotesi di malversazione di erogazioni pubbliche: un finanziamento a tasso agevolato garantito da Sace, e quindi dallo Stato, sarebbe stato impiegato non per gli scopi previsti dal contratto, ma per pagare gli stipendi non dovuti, tra cui quelli di Laus, Grippo e Carretta. Un’accusa che esclude la moglie del deputato, ma che tocca quasi tutti gli altri indagati.
Sul fronte penale, l’infedeltà patrimoniale è un reato procedibile su querela di parte: nel fascicolo della Procura, per ora, non sono indicate persone offese specifiche. Ma il sospetto è che l’indagine derivi da un’ispezione ministeriale del 2023, i cui esiti potrebbero aver aperto la strada a verifiche più approfondite.
Le reazioni della politica e dei sindacati
A poche ore dalla notifica dell’avviso, Mauro Laus ha scritto sui social: “Affronto questa fase con serenità, consapevole di aver sempre agito nel rispetto delle regole. Non cerco alibi né indulgenze, ma confido che i fatti, una volta emersi con completezza, sapranno raccontare la realtà meglio di ogni congettura”. Anche il Pd torinese, per voce del segretario Marcello Mazzù, ha espresso fiducia nella magistratura, sottolineando la necessità di non strumentalizzare la vicenda.
Diversa la posizione di Andrea Russi, capogruppo del Movimento 5 Stelle, che ha sottolineato su Facebook come il Pd torinese sia “ancora ostaggio dei burattinai” e che il sindaco Lo Russo sarebbe “figlio di questa politica”. Russi ha però chiarito che non intende cavalcare l’onda giudiziaria, richiamando la vicenda Ream, conclusasi con l’assoluzione degli imputati.
Sul fronte sindacale, Cgil e Filcams hanno espresso forte preoccupazione: “Quanto riportato dagli organi di stampa getta un’ombra su un sistema cooperativo che dovrebbe fondarsi su trasparenza, legalità e redistribuzione della ricchezza”. Le sigle chiedono che lavoratori e lavoratrici non paghino per responsabilità individuali, e invocano controlli più rigorosi sugli appalti e i subappalti.
La posizione della Rear
In una nota ufficiale, la cooperativa Rear ha cercato di circoscrivere la portata dell’indagine: “Le verifiche coordinate dalla Procura di Torino non hanno messo in discussione né la correttezza gestionale della società né la sua solidità patrimoniale. Riguardano invece vicende marginali relative ad alcune persone fisiche socie, che si difenderanno nelle sedi opportune e dimostreranno la propria piena innocenza”. La società ha inoltre ribadito che gli appalti sono stati sempre gestiti con trasparenza e correttezza, respingendo ogni accusa di uso improprio delle risorse.
In attesa di chiarimenti
Con l’avviso di chiusura delle indagini, per gli otto indagati si apre ora una finestra di venti giorni per depositare memorie difensive o chiedere di essere interrogati. Solo dopo questa fase, il pubblico ministero deciderà se richiedere il rinvio a giudizio. Un procedimento ancora aperto, quindi, ma che già solleva interrogativi profondi su etica pubblica, gestione delle cooperative e rapporti tra politica e mondo del lavoro.