
Ci sono gesti che non si possono spiegare, ma solo raccontare. Gesti che parlano da soli, che illuminano ciò che di più profondo lega due persone. È l’amore che si fa carne, cura, dono. Un amore che non ha bisogno di parole quando basta un atto a dire tutto. È così che una madre ha scelto di offrire una parte di sé per restituire al figlio qualcosa che aveva perso da tempo: la speranza di una vita normale.
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Nel silenzio di una stanza d’ospedale, dove si aspettano i risultati e si trattiene il respiro, è avvenuto qualcosa che non ha nulla di ordinario. Perché mentre fuori tutto scorre, dentro quelle pareti due vite hanno preso strade nuove: una con un organo in meno, ma il cuore più pieno; l’altra con un corpo più forte e un futuro riaperto.
Il trapianto al Gemelli: un rene per salvare Lelio
È successo a Roma, al Policlinico Gemelli, dove nei giorni scorsi Paola Giaccherini, 58 anni, ha donato un rene al figlio Lelio Marchetti, 41 anni, affetto da una malattia rara: la glomerulonefrite mesangioproliferativa a depositi di IgM. Una patologia autoimmune, cronica e senza cura definitiva, che da vent’anni lo costringeva a controlli costanti, rinunce e – negli ultimi tempi – alla dialisi.
“Inizia una nuova vita per mio figlio”, ha detto Paola dopo l’intervento, visibilmente commossa. La sua decisione di donare un organo a Lelio non è arrivata all’improvviso, ma è stata maturata con lucidità e amore nel corso degli anni, mentre assisteva al lento peggioramento della salute del figlio. “Io da mamma ho sempre dato disponibilità a donare il rene a mio figlio, prima ancora che si arrivasse alla dialisi”, ha raccontato al Messaggero.

La diagnosi e la malattia rara
Lelio aveva 21 anni quando i medici gli diagnosticarono la glomerulonefrite mesangioproliferativa, una forma particolare di nefropatia caratterizzata da infiammazione cronica e da accumulo di immunoglobuline M nei glomeruli, le strutture renali deputate alla filtrazione del sangue. “Faceva controlli periodici e da lì è emerso che perdeva proteine nelle urine”, ha spiegato Paola. “I reni si stavano deteriorando: non riuscivano più a filtrare bene e passava di tutto”.
Il progressivo peggioramento lo ha costretto alla dialisi, trattamento salvavita ma altamente impattante sulla qualità della vita. “Lelio poteva bere solo mezzo litro d’acqua al giorno”, ha raccontato la madre. Un limite che, per chiunque, sarebbe difficile da accettare, e che rendeva la quotidianità di Lelio faticosa, compressa.

Il giorno dell’operazione
Quando è arrivato il via libera medico, Paola non ha avuto dubbi. “Ho avuto i brividi”, ha detto. Si è sottoposta agli esami compatibilità e, una volta ottenuto il semaforo verde, ha affrontato l’intervento con coraggio. Il trapianto è avvenuto nei giorni scorsi, in una delle strutture di eccellenza del Paese per questo tipo di operazioni. La donna ha parlato del decorso post-operatorio con serenità e forza: “Io mi sento benissimo. Appagata. Questo benessere interiore mi ha fatto superare anche i lievi dolori dopo l’operazione”.
Dal punto di vista fisico, Paola ha dichiarato che cammina, sta bene e che sembra che non le manchi nulla. “Si vedrà solo all’ecografia, ma questo non è importante”, ha aggiunto. Ciò che conta è che Lelio ora ha una possibilità vera, concreta, di riprendere in mano la sua vita.
“Ora può bere un litro e mezzo d’acqua”
Lelio, dopo anni vissuti a cavallo tra visite, trattamenti e limiti imposti dalla malattia, ha finalmente ricominciato a guardare avanti. E lo fa con piccoli, grandi gesti quotidiani. “Ora può bere un litro e mezzo d’acqua”, ha detto Paola. Un dettaglio che per molti è scontato, ma che per chi ha vissuto anni da paziente nefropatico rappresenta una libertà riconquistata.
Il trapianto non è solo una questione medica: è un passaggio che restituisce autonomia, vitalità, progetti. La gratitudine di Lelio è tangibile, anche se le sue parole sono state poche. Al momento, come è giusto, si concentra sulla guarigione, sulla stabilità dei parametri, sul ritorno a una normalità che da troppo tempo gli era stata sottratta.
Il significato profondo della donazione
Il gesto di Paola Giaccherini va oltre l’ambito familiare: è un messaggio potente sul valore della donazione di organi da vivente, che in Italia è ancora poco diffusa ma potenzialmente salvifica. In molti casi, come questo, è la sola strada per evitare anni di attesa o un futuro incerto. “Donare è una scelta consapevole che cambia due vite”, dicono spesso i medici, e mai come in questa storia è stato vero.
Il coraggio di una madre che ha donato una parte di sé al proprio figlio ci ricorda che la medicina, per quanto avanzata, ha sempre bisogno di umanità, di scelte personali, di solidarietà concreta. E ci ricorda anche che certe battaglie si vincono solo insieme.
Una storia di amore e rinascita
Ora, per Paola e Lelio, comincia una nuova fase. I controlli continueranno, la convalescenza avrà i suoi tempi, ma l’operazione è andata bene. E la loro storia – fatta di tenacia, dedizione e speranza – è una testimonianza rara e preziosa di come si può restituire la vita, letteralmente, attraverso un gesto d’amore puro.
Lontano dai riflettori, ma vicino a chi sa cosa significa lottare contro una malattia cronica, il racconto di questa madre e di questo figlio entra di diritto tra le storie che vale la pena raccontare. Perché anche nelle corsie d’ospedale, quando tutto sembra fermarsi, può sempre cominciare una nuova vita.