
Le parole non dette, a volte, pesano più di quelle pronunciate. E quando a pronunciarle — o meglio, a non pronunciarle — è un artista che ha attraversato generazioni con la sua musica e la sua narrazione del mondo, il silenzio può diventare assordante. È quello che sta accadendo a Jovanotti, finito al centro di una bufera mediatica dopo una sua frase durante un concerto, in cui ha scelto di non prendere posizione sull’offensiva in Palestina, lasciando spazio solo a un appello generico alla pace. Una scelta che ha scatenato reazioni dure e immediate, soprattutto da parte di chi si aspettava un atto di responsabilità da una figura pubblica del suo calibro.
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Le polemiche sono nate non tanto da ciò che Jovanotti ha detto, ma da ciò che ha evitato di dire. Un’assenza che, in un contesto segnato da migliaia di morti e da un dibattito internazionale sempre più acceso, ha sollevato dubbi e indignazione. Il palco di un concerto, per qualcuno, è anche un luogo politico. Per altri, uno spazio personale. Ma quando le bombe cadono e il pubblico alza le bandiere, il confine tra spettacolo e coscienza si fa inevitabilmente sottile.
La dichiarazione sul palco del No Borders Festival
Tutto è cominciato durante il No Borders Music Festival, a Fusine, in provincia di Udine, dove Jovanotti si è esibito nel suo unico concerto estivo davanti a circa cinquemila spettatori. Alcuni di loro sventolavano bandiere della Palestina, chiedendo implicitamente una presa di posizione. Il cantautore ha deciso però di non schierarsi. “Non ho niente di intelligente da dire su quello che sta succedendo”, ha affermato. “Prego, spero e mi auguro che questa follia ci insegni qualcosa. Non è una questione di tifoseria, io sono tifoso solamente per sostenere la pace, la tregua”.
Un messaggio che, nelle intenzioni, voleva essere un appello alla pace universale, ma che per molti ha suonato come una fuga dalle responsabilità. Proprio nel momento in cui si auspicava una parola chiara, Jovanotti ha scelto il silenzio, dichiarato ma pur sempre tale. Una posizione che non è passata inosservata, soprattutto a chi, negli anni, ha creduto che la sua musica potesse accompagnare anche un pensiero più coraggioso sulla realtà.
Di idioti e imbelli il panorama italiano è pieno, ma Jova li batte tutti.
— giorgio bianchi (@Giorgioaki) July 29, 2025
"Non ho niente di intelligente da dire su quello che era succedendo, e siccome non ho nulla di intelligente da dire, non dico niente", afferma nel suo discorso per la pace.
E aggiunge: "La guerra c'è… pic.twitter.com/GNEYDyl78p
L’attacco di Pablo Trincia
Tra le voci critiche più forti, quella del giornalista e autore di inchieste Pablo Trincia, che ha affidato a Instagram un post dal tono duro e personale. “Sono decenni che ascolto e apprezzo le tue canzoni, e quasi due anni che aspetto proprio dagli artisti come te una sola parola su quello che accade a Gaza”, ha scritto, allegando il video del momento incriminato.
Trincia ha poi evocato uno dei simboli più noti del Jovanotti impegnato, quel “Il mio nome è Mai Più” che il cantautore interpretò nel 1999 insieme a Ligabue e Pelù contro la guerra in Kosovo. “Ora capisco che era solo una frase priva di significato”, ha aggiunto il giornalista. “Da uno come te mi sarei aspettato tutt’altro. E mi dispiace davvero tanto”. Il messaggio ha fatto subito il giro della rete, alimentando ulteriormente il dibattito sulla posizione – o l’assenza di posizione – degli artisti italiani di fronte a eventi di questa portata.
Anche Selvaggia Lucarelli contro il cantautore
A criticare apertamente le parole di Jovanotti è stata anche la giornalista e opinionista Selvaggia Lucarelli, che da tempo segue con attenzione le posizioni dei personaggi pubblici italiani sul conflitto in Medio Oriente. In una Instagram story, ha sottolineato come un artista intelligente e consapevole come lui avrebbe potuto dire molto di più: “Intelligente com’è, potrebbe dire cose intelligenti, con mezzi, pubblico e autorevolezza”.
Lucarelli ha poi ampliato il discorso, puntando il dito contro il silenzio degli intellettuali italiani, e ha fatto esplicitamente il nome di Roberto Saviano, lamentando una generale mancanza di coraggio e chiarezza da parte di chi avrebbe la possibilità – e forse il dovere – di guidare l’opinione pubblica in momenti delicati come questi.

La responsabilità della parola pubblica
Il caso sollevato da Jovanotti apre una questione più ampia: quale deve essere il ruolo degli artisti e degli intellettuali nella società? È legittimo sottrarsi alla complessità di certi conflitti o è doveroso esporsi, anche a costo di dividere il pubblico? Di certo, il cantautore ha preferito restare su un piano personale e spirituale, evitando riferimenti diretti a Israele o Palestina, parlando solo di tregua e preghiera.
Ma è proprio questa assenza di sostanza che ha deluso molti. In un’epoca in cui le guerre sono trasmesse in tempo reale, dove i social diventano arene di confronto e mobilitazione, il silenzio non è mai neutrale. E quando a restare in silenzio è una figura popolare, amata da milioni di italiani, l’effetto può essere amplificato, diventando esempio – positivo o negativo – per molti.
Un dibattito destinato a continuare
Al momento, Jovanotti non ha replicato direttamente alle critiche ricevute, e resta da capire se lo farà. Intanto, il suo breve commento ha aperto un dibattito profondo su cosa significhi oggi prendere posizione, soprattutto quando si ha una voce pubblica. È sufficiente un appello generico alla pace per placare le coscienze? O serve un coraggio diverso, che chiama le cose con il proprio nome?
In una società sempre più interconnessa e informata, le parole contano. E anche quelle non pronunciate possono diventare un boomerang. Per Jovanotti, artista da sempre attento alle tematiche sociali, è un momento delicato. Ma anche un’occasione – se vorrà coglierla – per rimettere al centro l’impegno civile che ha caratterizzato parte della sua carriera.