
Davanti alla residenza del premier a Gerusalemme la protesta è esplosa in tutta la sua disperazione. Anat Angrest, madre di Matan, uno degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, ha puntato direttamente il dito contro Benjamin Netanyahu, accusandolo di «commettere crimini di guerra» nei confronti dei rapiti. «Si siederà al tavolo con la moglie, con i figli che non sono in pericolo, circondati da guardie della sicurezza e la polizia, mentre mio figlio è circondato dai terroristi», ha dichiarato con voce rotta dalla rabbia e dal dolore.
Le parole della donna si inseriscono in un clima di forte tensione: da un lato le famiglie degli ostaggi, che chiedono al governo di mettere la loro liberazione al centro delle priorità, dall’altro la macchina militare israeliana, che continua a intensificare le operazioni su Gaza.
Il capo di stato maggiore dell’Idf, il generale Eyal Zamir, ha ribadito in un messaggio video che riportare a casa gli ostaggi «è un obiettivo di guerra e un impegno nazionale e morale». Zamir ha spiegato che l’esercito israeliano sta operando «nelle profondità del territorio» con forze di terra, fuoco di precisione e intelligence: «Il nostro obiettivo è intensificare i colpi ad Hamas fino alla sua sconfitta».
Un’operazione, quella su Gaza City, che secondo le forze armate ha già indebolito gran parte della potenza militare di Hamas. Ma per i familiari dei rapiti ogni avanzata militare è vissuta come una minaccia ulteriore, un rischio che le loro speranze possano spegnersi sotto il peso della guerra.