
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha recentemente mutato posizione sulla guerra in Ucraina. Dopo mesi di dichiarazioni ambigue, ha espresso un forte sostegno all’integrità territoriale ucraina, arrivando a definire la Russia una “tigre di carta”.
Durante l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky alle Nazioni Unite, Trump ha affermato che, con l’appoggio di NATO e Unione Europea, Kiev potrebbe “combattere e riconquistare l’intera Ucraina nella sua forma originale”. Un’affermazione che ha acceso un dibattito: si tratta di una svolta decisiva verso la pace o di un annuncio più retorico che concreto?
Cosa significa “porre fine alla guerra”
La risposta non è semplice. Mettere fine al conflitto può significare molte cose: un cessate il fuoco temporaneo, un accordo negoziato che congeli le linee attuali o il pieno recupero territoriale.
La visione di Trump, inoltre, potrebbe non coincidere del tutto con gli obiettivi strategici di Kiev, che punta a recuperare Crimea e Donbass, né con le priorità dell’Unione Europea, concentrata anche sulla sicurezza energetica e sulla stabilità interna.
L’Europa si assume maggiori responsabilità
Se gli Stati Uniti mostrano oscillazioni, l’Europa sta aumentando il suo impegno. Secondo il Kiel Institute, al 30 giugno 2025 i Paesi europei avevano stanziato 167,4 miliardi di euro in aiuti all’Ucraina, di cui 80,5 miliardi in supporto militare. Si tratta di 1,5 volte l’impegno complessivo degli USA.
In netta rottura con il passato, l’UE ha avviato una politica più aggressiva sugli armamenti, discute il riutilizzo di 300 miliardi di euro di beni russi congelati per finanziare la ricostruzione e punta ad accelerare l’eliminazione delle importazioni di gas russo, con l’obiettivo di chiudere prima della scadenza originaria del 2027.
Il ruolo della Cina e le catene di approvvigionamento
Un altro fattore cruciale è il rapporto con la Cina, terzo partner commerciale degli Stati Uniti dopo Messico e Canada, con un volume complessivo di 582 miliardi di dollari nel 2024.
Gli Stati Uniti dipendono da Pechino per terre rare e materie prime strategiche, indispensabili per semiconduttori, batterie, turbine e persino sistemi missilistici.
La Cina domina la raffinazione di litio, cobalto, nichel e grafite e detiene circa 775 miliardi di dollari di titoli del Tesoro USA, posizionandosi come secondo creditore dopo il Giappone. Questa interdipendenza economica rende più complessa la strategia sanzionatoria americana e limita i margini di manovra di Washington contro Mosca e i suoi alleati.
Le condizioni per un cambio di passo russo
La Russia continua a considerare la guerra esistenziale, sia per la sicurezza nazionale che per la legittimità politica del Cremlino. Nonostante le perdite militari e i costi crescenti, Mosca ha mostrato finora scarsa propensione al compromesso.
Gli analisti individuano alcuni possibili punti di svolta:
- un’avanzata ucraina verso la Crimea;
- l’autorizzazione di Washington a colpire in profondità il territorio russo con armi americane;
- l’introduzione di una copertura aerea NATO su parte dell’Ucraina.
Ognuna di queste mosse, però, comporterebbe seri rischi di escalation, con possibili ritorsioni informatiche, energetiche o militari da parte della Russia.
La strategia di Trump e le pressioni sull’Europa
Dal suo insediamento nel gennaio 2025, Trump ha spinto l’Europa ad assumersi maggiori responsabilità. Ha ridotto gli aiuti militari diretti da parte degli Stati Uniti, continuando però a fornire armi tramite la NATO.
Parallelamente, ha pressato pubblicamente i leader europei perché aumentassero i contributi e ha accusato Bruxelles di “finanziare la guerra contro se stessa” attraverso le importazioni energetiche dalla Russia.
Opinione pubblica e sostegno politico
Anche la volontà dei popoli pesa sul futuro della guerra. Secondo un sondaggio Gallup del luglio 2025, il 69% degli ucraini vorrebbe una fine negoziata del conflitto il prima possibile, pur senza rinunciare alla sovranità nazionale.
Negli Stati Uniti, invece, le priorità sono altre: inflazione (17,9%), lavoro (15,5%) e immigrazione (10,6%) dominano le preoccupazioni, mentre politica estera e conflitti pesano solo per il 3,8% (sondaggio Nanos).
Ciononostante, il 62% degli americani è favorevole a inviare più armi a Kiev, secondo il Chicago Council on Global Affairs. Una contraddizione che riflette il divario tra percezione interna e politica estera.
Lo scenario nell’immediato futuro
L’entusiasmo di Trump per una vittoria ucraina ha galvanizzato Kiev e i suoi alleati, offrendo nuova spinta diplomatica e militare. Ma porre fine alla guerra non dipende solo dalla Casa Bianca: richiederà un impegno multilaterale, il sostegno costante degli Stati Uniti, una forte coesione europea e, soprattutto, la disponibilità della Russia ad accettare compromessi.
Il vero nodo sarà capire se la crescente pressione economica e militare potrà trasformarsi in una soluzione politica sostenibile, senza innescare una spirale di escalation che potrebbe allargare il conflitto oltre i confini ucraini.