
Un nuovo fronte di tensione si è aperto tra l’attivismo internazionale e la diplomazia israeliana. A provocare l’ultima frizione è stata Greta Thunberg, che sui social ha pubblicato un messaggio di solidarietà ai prigionieri palestinesi, suscitando l’ira del ministero degli Esteri israeliano. Il post, nel quale l’attivista svedese denuncia «crudeltà sistematica e disumanizzazione», ha generato reazioni durissime da parte di Tel Aviv, in particolare per la scelta delle immagini a corredo, tra cui quella di Evyatar David, cittadino israeliano detenuto a Gaza.
Leggi anche: Flotilla, l’abbordaggio israeliano è in atto. Nei video iseaeliani anche Greta Thunberg
Le dichiarazioni di Thunberg — seguite da una replica ufficiale del governo israeliano — dimostrano come il conflitto israelo-palestinese continui a polarizzare anche le voci internazionali più influenti, facendo emergere un acceso scontro tra narrazioni contrapposte, anche al di fuori dei confini mediorientali.
Il post e le parole di Thunberg
«La sofferenza dei prigionieri palestinesi non è un’opinione, ma un fatto di crudeltà sistematica e disumanizzazione. L’umanità non può essere selettiva. La giustizia non può avere confini». Con queste parole, Greta Thunberg ha affidato ai suoi canali social una presa di posizione che ha immediatamente generato una valanga di reazioni.
Nel post, pubblicato con il tono diretto che la contraddistingue, l’attivista ha allegato tre immagini. Tra queste, una foto di Evyatar David, cittadino israeliano rapito da Hamas e tenuto in ostaggio nella Striscia di Gaza. Secondo fonti israeliane, David sarebbe stato denutrito, maltrattato e addirittura costretto a scavarsi la propria fossa durante la prigionia. La presenza della sua immagine, inserita in un post a sostegno dei prigionieri palestinesi, è stata letta da Israele come un gesto offensivo e deliberatamente provocatorio.
Ignorance blinded by hate is trending:
— Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 7, 2025
Greta Thunberg posted about “Palestinian prisoners” using the image of Israeli hostage Evyatar David – starved, abused, and forced by Palestinian Hamas to dig his own grave. pic.twitter.com/cR3EalgJks
La dura replica del governo israeliano
A stretto giro è arrivata la risposta del ministero degli Esteri israeliano, che ha scelto di replicare direttamente su X (ex Twitter). Nel messaggio ufficiale si legge: «L’ignoranza accecata dall’odio è di tendenza». Una frase dura, che sintetizza il giudizio politico sul messaggio dell’attivista.
Il governo guidato da Benjamin Netanyahu ha accusato Greta Thunberg di ignorare le reali condizioni delle vittime israeliane, riducendo la complessità del conflitto a una narrazione unilaterale. Secondo quanto riportato anche da Haaretz, l’elemento più controverso non sarebbe stata la dichiarazione di principio in sé, ma proprio la scelta delle immagini, percepita da Israele come un tentativo di mettere sullo stesso piano prigionieri palestinesi e ostaggi israeliani.
Polemiche e reazioni internazionali
L’intervento di Thunberg ha riaperto il dibattito sul ruolo delle figure pubbliche internazionali nel trattare temi di alta tensione geopolitica. Attivisti, esponenti politici e giornalisti si sono divisi tra chi difende la sua libertà di espressione e chi la accusa di aver trascurato volutamente il contesto, contribuendo a una polarizzazione dannosa.
In particolare, nel mondo diplomatico cresce la preoccupazione per l’uso dei social media come canali di intervento diretto su crisi complesse, dove le semplificazioni possono generare incomprensioni o alimentare tensioni già esistenti. In questo caso, la potenza mediatica di un personaggio come Thunberg, seguito da milioni di persone in tutto il mondo, ha inevitabilmente amplificato l’effetto del messaggio, trasformandolo in una miccia accesa nella già instabile arena del conflitto israelo-palestinese.

La questione delle immagini e la responsabilità comunicativa
Il punto centrale della polemica ruota attorno al significato simbolico delle immagini utilizzate. Per Israele, includere la foto di un ostaggio israeliano — che secondo le loro fonti ha subito gravi maltrattamenti — all’interno di un post che denuncia la sofferenza dei palestinesi detenuti è un atto di sciacallaggio comunicativo. Per i sostenitori di Thunberg, invece, si tratta di una denuncia universale della violenza, indipendentemente da chi ne sia vittima.
La distanza tra queste due letture rappresenta in pieno la difficoltà di trattare pubblicamente un conflitto in cui ogni immagine, ogni parola, ogni silenzio possono essere letti come schieramento politico. E in questo contesto, le parole chiave come giustizia, umanità e sofferenza diventano campi di battaglia semantici su cui si combattono non solo le guerre reali, ma anche quelle narrative.