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“Hamas pronta a liberare gli ostaggi entro domenica”: prime concessioni, la pace è più vicina

Pubblicato: 08/10/2025 07:23

GERUSALEMME – In uno dei giorni più cupi per Israele, a due anni dal massacro del 7 ottobre, il premier Benjamin Netanyahu commette un errore clamoroso: sbaglia il numero degli ostaggi ancora trattenuti nella Striscia di Gaza. Prima dice 40, poi corregge a 46. In realtà, sono 48, più della metà dei quali presunti morti.

In occasione dell’anniversario degli attacchi di Hamas, Netanyahu ha scelto un’uscita pubblica protetta, rilasciando un’intervista all’opinionista ultraconservatore Ben Shapiro. Un contesto amico dove ha potuto evitare domande scomode sulla gestione della crisi del 2023 e concentrarsi su temi a lui congeniali: Donald Trump, le minacce iraniane e il ruolo di Israele nel Medio Oriente post-conflitto.

Il premier continua così la sua strategia comunicativa volta a riscrivere la narrazione storica, utile in chiave elettorale. Secondo fonti interne, il suo governo avrebbe persino promosso una petizione per evitare che il 7 ottobre venga ricordato nei calendari digitali. Ma quella data resta incancellabile: 1.200 israeliani e stranieri furono uccisi nelle loro case, e da allora la guerra a Gaza ha causato oltre 67.000 vittime palestinesi.

Mentre i negoziati di pace proseguono a Sharm el-Sheikh, Netanyahu dichiara a Shapiro: «La guerra è vicina alla fine, ma non è detto». Una frase che rivela tutta l’ambiguità del premier, sempre più sotto pressione sia sul fronte interno che internazionale. Gli emissari israeliani, insieme ai mediatori di Egitto e Qatar, stanno cercando di trovare un’intesa per porre fine a 732 giorni di conflitto.

Uno dei nodi cruciali resta la tregua permanente, osteggiata dai ministri ultrareligiosi e messianici della coalizione di governo. Nonostante ciò, Netanyahu deve tenere conto delle aspettative di Trump, che punta su un risultato diplomatico in tempi brevi. Ieri, ha ringraziato le famiglie degli ostaggi per averlo candidato al Premio Nobel per la Pace, promettendo: «Sono determinato a riportarli a casa».

Da oggi, al tavolo dei colloqui in Egitto, si uniscono Jared Kushner e Steve Witkoff, delegati della presidenza USA. Il loro compito sarà far accettare alle parti il piano in 20 punti proposto dalla Casa Bianca. Il portavoce qatariota ha sottolineato che «restano divergenze su molti dettagli», e che serve la volontà politica di implementare ogni parte dell’accordo.

Nel frattempo, i leader di Hamas hanno celebrato l’anniversario del 7 ottobre con un lancio di razzi verso il sud di Israele. Fawzi Barhoum, portavoce del movimento, ha definito gli attacchi del 2023 una «risposta storica ai tentativi di cancellare la causa palestinese». Hamas ha anche smentito di essere pronto a disarmarsi, come invece indicato da alcune fonti arabe.

I fondamentalisti insistono su due condizioni: il ritiro completo dell’esercito israeliano prima del rilascio degli ultimi ostaggi e la garanzia che le operazioni militari non riprendano. Una sequenza che contrasta con il piano americano, che prevede la liberazione dei sequestrati entro 72 ore dalla firma dell’accordo. Netanyahu, invece, vuole mantenere il controllo su almeno il 70% della Striscia nella prima fase del cessate il fuoco.

In aggiunta, Hamas avrebbe consegnato la lista dei detenuti da liberare, tra cui Marwan Barghouti e Ahmad Saadat, figure centrali della seconda intifada. Barghouti, in particolare, è visto da molti come l’unico in grado di succedere ad Abu Mazen e guidare una nuova fase politica palestinese. Ma la sua liberazione resta un punto altamente controverso per Israele.

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