
C’è un filo di tensione che attraversa la politica italiana in queste ore. In Toscana, il calo di affluenza di circa cinque punti non è solo un dato statistico: è un sintomo politico. Nei palazzi, nei circoli e perfino nei caffè romani si commenta con lo stesso tono sospeso: qualcosa si sta muovendo. E non contro il candidato, ma contro la linea.
Da giorni, analisti e intellettuali – di destra ma anche della sinistra riformista – guardano a questo voto come a un possibile spartiacque. Per molti, la astensione è diventata la forma più sottile di dissenso: un modo per colpire senza tradire. Non contro Eugenio Giani, che è considerato un amministratore solido e rispettato, ma contro il posizionamento politico della segretaria Elly Schlein, sempre più percepita come prigioniera della sinistra movimentista e dei 5 Stelle.
La sinistra contro se stessa

“Qui non si punisce la Toscana, si punisce Roma”, sussurra un politologo vicino al mondo progressista. E la frase gira di bocca in bocca. L’idea è che questa astensione non nasca dal disinteresse, ma da un disagio profondo dentro lo stesso campo progressista: un elettorato che non si riconosce più in una sinistra gruppettata, radicale, intenta a parlare alle minoranze più rumorose invece che alla maggioranza silenziosa.
In questa lettura, Giani diventa la prima vittima della linea Schlein: un governatore che paga la distanza tra il partito e il suo popolo. “Non è lui che è debole”, dice un ex ministro riformista, “è la segreteria che ha perso il contatto con il Paese reale”. Ecco perché, in molti ambienti, si coltiva una speranza quasi inconfessabile: che la sconfitta in Toscana apra la strada a una resa dei conti nel partito e costringa la segretaria alle dimissioni.
La resa dei conti nel partito
La preoccupazione corre anche tra i vertici locali, dove si percepisce il rischio di un’astensione selettiva: non un ritiro neutro, ma un gesto politico. “È una ribellione dolce, ma consapevole”, osserva un docente fiorentino, vicino alle posizioni moderate del centrosinistra. “Molti non vogliono consegnare la regione alla destra, ma vogliono dire basta a questa deriva identitaria che isola il partito dal Paese.”
Nel frattempo, nel centrodestra, nessuno si sbilancia. L’ordine è il silenzio, ma la convinzione cresce: “Non serve vincere, basta che loro si dividano”. E la sensazione, condivisa da chi osserva la scena con più distacco, è che non sia solo la Toscana a tremare, ma l’intera architettura politica costruita dalla Schlein in questi mesi.
Se davvero Giani dovesse perdere, la Toscana non sarebbe la causa ma la conseguenza di un fallimento nazionale. E per la segretaria, a quel punto, non resterebbe che scegliere: ammettere l’errore o lasciare il campo.