
Il 13 ottobre del 1943 non fu una di quelle giornate che non scorrono, ma si spezzano. Come un filo teso che qualcuno recide di netto con una cesoia. Da quel momento, la Storia d’Italia non fu più la stessa. Pietro Badoglio, a nome del Re e del Governo, annunciò che l’Italia dichiarava guerra alla Germania. Un gesto formale, dirà qualcuno. E invece no: fu un atto che tagliò in due il Paese, la politica, le coscienze. L’ambasciatore italiano a Madrid ricevette l’ordine di trasmettere la notizia al collega tedesco. Un telegramma, poche parole, fredde come la diplomazia sa essere. Ma dietro quella formula c’era un urlo: “Italiani, non vi sarà pace in Italia finché un solo tedesco calcherà il vostro suolo”. Non era una vendetta. Era una necessità. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, il Paese era un corpo senza testa, un esercito senza comando, una monarchia in fuga. Gli Alleati premevano, i tedeschi occupavano, e il governo Badoglio dovette scegliere: o restare complici del disastro, o tentare di rialzare la testa.

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L’Italia che combatte e che cade
Ma la guerra, si sa, non si fa con i telegrammi. Si fa sul campo. E lì le parole di Badoglio incontrarono la realtà. Nei Balcani, in Grecia, in Albania, i soldati italiani si trovarono di colpo nemici di quelli che, fino a ieri, erano stati i loro camerati. Molti non capirono, altri non ebbero il tempo di capire. Reparti dispersi, comandi che tacevano, fughe, eccidi, fucilazioni. Fu un autunno di caos e di sangue. Qualcuno scelse di combattere, altri di arrendersi, altri ancora di fuggire. Ci furono gesti di eroismo che nessuno ricorderà e codardie che nessuno confesserà. Il proclama di Badoglio voleva unire gli italiani contro l’occupante; ma l’Italia, in quel momento, era un Paese a pezzi. E il nemico, il tedesco, aveva memoria lunga e mano pesante. Gli Alleati accolsero l’Italia tra le Nazioni Unite: Stati Uniti, Inghilterra, Unione Sovietica. Ma sui campi di battaglia la bandiera italiana non tornò subito a sventolare accanto a quelle dei vincitori. Ci volle tempo, sangue e sacrificio perché la parola “alleato” tornasse a significare onore e non opportunismo.
Il significato di un gesto
La dichiarazione del 13 ottobre fu, insieme, un atto politico e un gesto morale. Politico, perché cercava di restituire al Paese una posizione nel mondo dopo la catastrofe del fascismo. Morale, perché tentava di cancellare, almeno con l’intenzione, la vergogna di un’alleanza che aveva condotto l’Italia nel baratro. Ma ogni scelta ha un prezzo, e quello fu altissimo. Le rappresaglie tedesche, i rastrellamenti, le deportazioni, le stragi di civili: da Boves alle Fosse Ardeatine, l’elenco è lungo e terribile. La Storia, però, non fa sconti. Segna le colpe, ma riconosce anche il coraggio di chi, pur tardi, decide di voltare pagina. Il 13 ottobre 1943, l’Italia tentò di rialzarsi dal fango. Non fu una redenzione, ma un inizio. E nella vita dei popoli, come in quella degli uomini, spesso non c’è niente di più difficile che ricominciare.