
Emanuele Orsini rompe il silenzio e mette il governo di fronte a un punto politico chiave: nella legge di bilancio manca la parola crescita. Durante l’assemblea di Assolombarda, il presidente di Confindustria ha lanciato un messaggio diretto a Giorgia Meloni e al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, chiedendo un vero piano industriale per il Paese.
Il tono è stato misurato ma anche molto duro, e le preoccupazioni del presidente e degli industriali sono inequivocabili: “Apprezzo il lavoro di Giorgetti sul contenimento dei conti pubblici, ma la crescita si fa con gli investimenti”.
Confindustria, l’allarme sul dopo incentivi
Dietro la fermezza di Orsini c’è una preoccupazione concreta. A gennaio scadranno gli ultimi incentivi industriali, e come ha sottolineato il vicepresidente Angelo Camilli, “l’industria italiana sarà nuda”. In assenza di nuovi strumenti di sostegno, il sistema produttivo rischia di trovarsi senza paracadute, proprio mentre l’economia rallenta, i dazi aumentano e il rischio di delocalizzazione torna a farsi concreto.
Secondo Confindustria servono otto miliardi di euro l’anno per tre anni per finanziare un piano di rilancio capace di sostenere gli investimenti delle imprese e di compensare la crescita “prossima allo zero” oggi garantita quasi soltanto dal Pnrr.
Le proposte di Orsini: un piano per la competitività
L’obiettivo dichiarato è un piano industriale strutturale, non una misura tampone. Orsini chiede una nuova stagione di incentivi mirati, capaci di liberare il potenziale del manifatturiero e di rendere l’Italia competitiva in Europa. “Cominciamo a smontare la burocrazia italiana ed europea”, ha detto il presidente di Confindustria, indicando nella lentezza amministrativa uno dei principali ostacoli allo sviluppo.
Tra le richieste avanzate a Palazzo Chigi ci sono:
- il rinnovo del credito d’imposta pluriennale per una “Transizione 5.0”, finanziata con i 4,1 miliardi non ancora utilizzati del Pnrr;
- il rifinanziamento dei contratti di sviluppo e degli accordi per l’innovazione;
- la stabilizzazione dell’Ires premiale;
- e il sostegno alla Zes unica del Mezzogiorno, che dovrebbe includere anche Marche e Umbria.
A completare il quadro, la richiesta di un intervento deciso sul costo dell’energia, divenuto ormai un fattore di svantaggio competitivo.

Crescita ferma, industria in attesa
Le risposte del governo finora non hanno soddisfatto il mondo produttivo. Giorgetti, più volte invitato alle assemblee territoriali di Confindustria, ha preferito non partecipare, alimentando il malumore tra gli industriali. “Che senso ha sostenere un governo che non ascolta le imprese?”, ha commentato un dirigente del Nord Ovest, sintetizzando il disagio diffuso nel sistema associativo.
La tensione è alta, ma non c’è ancora una vera e propria rottura: il pressing di Confindustria, per ora, si basa soprattutto su un appello al confronto. Ad acuire la tensione,, però, c’è il dato industriale di agosto: -2,7% su base annua. Un andamento negativo che conferma che il tempo stringe.
Governo diviso tra conti e sviluppo
La premier Meloni, pur attenta al consenso dei ceti medi, sembra finora più concentrata su misure di sostegno ai consumi, come la riduzione dell’Irpef dal 35 al 33%. Ma il messaggio che arriva da Confindustria è forte e preciso: l’Italia non può permettersi una manovra tutta difensiva.
Come ha sintetizzato Orsini, “la crescita si fa con investimenti”. E per ora, tra tagli e vincoli di bilancio, il futuro dell’industria resta sospeso tra la prudenza del Tesoro e l’urgenza di rilanciare la produzione.