
Giulio Rapetti, in arte Mogol, torna a parlare di sé, della musica e, soprattutto, di politica. E lo fa in un’intervista al Corriere della Sera che mette in discussione decenni di stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni. Il celebre paroliere italiano, autore di brani immortali e voce poetica dell’epoca d’oro della musica leggera, si mostra per quello che è: un uomo libero, che rifugge le etichette ideologiche e rivendica le sue scelte con la pacatezza di chi non ha bisogno di compiacere nessuno.
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Per molti, il suo nome e quello di Lucio Battisti sono stati per anni associati a una certa ambiguità politica. Non tanto per ciò che facevano, quanto per ciò che non dicevano. Il silenzio, in Italia, spesso vale più di una dichiarazione. E quel silenzio è stato riempito da interpretazioni, etichette, critiche e – nel caso di Battisti – da vere e proprie accuse di fascismo.
“Io socialista, ma ho votato a destra”
A fare chiarezza, oggi, è proprio Mogol: «Io sono un socialista, ma l’ultima volta ho votato a destra», ammette candidamente. Parole che sembrano voler archiviare una volta per tutte le caricature ideologiche costruite intorno alla sua figura. Una dichiarazione che potrebbe far discutere, ma che il paroliere motiva con sobrietà, facendo riferimento alla coerenza personale e alla libertà di pensiero: «Cerco di riflettere. Non voglio essere vittima di nessuna reazione».
Il paroliere de Il mio canto libero – titolo spesso travisato proprio per le sue connotazioni ideali – si definisce «un moderato», vicino a figure come Maurizio Gasparri e Antonio Tajani, che descrive come «persone buone, con criterio, che fanno la carità».

La partecipazione alla festa di Fratelli d’Italia
Nell’intervista, Mogol chiarisce anche la sua partecipazione alla festa di Fratelli d’Italia, che aveva suscitato polemiche e reazioni contrastanti. «Ci sono andato per amicizia, non per convenienza», precisa, sottolineando il suo rifiuto per le ipocrisie del mondo “progressista”, soprattutto in tema di immigrazione. «Certo che bisogna aiutare chi ha bisogno, ma non possiamo accogliere tutto il mondo», afferma con decisione.
Dello stesso tono è il suo sostegno al piano Albania del governo Meloni, da molti criticato: «Non ci vedo niente di male. Sono luoghi in cui persone che altrimenti morirebbero, mangiano e lavorano. L’Albania ci guadagna e l’Italia fa del bene».
La leggenda di Battisti e le accuse di fascismo
Ma se Mogol è finito nel mirino della critica ideologica, non meno controversa è stata negli anni la percezione pubblica di Lucio Battisti. L’artista, riservato fino all’eccesso, fu oggetto di attacchi e insinuazioni, soprattutto per la celebre copertina de Il mio canto libero, in cui appare con le braccia tese, giudicata da alcuni come una posa ambigua. Per alcuni era un simbolo di saluto fascista, per altri una banale scelta estetica.
«Lucio non credo abbia mai votato», ricorda Mogol. «Non gli interessava la politica. Durante una cena con Craxi, mentre si parlava di aneddoti politici, Battisti si girò verso la moglie e disse: “Ahò, ma è mejo de Dallas!”. Questo era il suo approccio».
E per chi ancora dubitasse, Rapetti cita un episodio rivelatore: «Lo accusarono di essere neofascista, ma poco dopo la polizia trovò la sua discografia nel covo delle Brigate Rosse. Questo spiega quanto c’entrasse con la politica».

Una verità scomoda per i radical chic
Nel suo ultimo libro, Senza paura, edito da Salani, Mogol affronta con lucidità e senza filtri il rapporto tra arte, società e pensiero politico. Un’opera che sembra voler restituire dignità e complessità a una carriera segnata non solo da successi straordinari, ma anche da fraintendimenti ideologici.
È chiaro che, in un’Italia ancora profondamente polarizzata, dove tutto sembra dover passare attraverso il filtro delle etichette, dichiararsi socialista e votare a destra appare una provocazione. Ma nelle parole di Mogol non c’è alcuna voglia di scioccare. C’è invece una profonda coerenza personale, quella di chi ha vissuto abbastanza da sapere che la verità non si piega alle narrazioni dominanti.
E forse, proprio questa sua libertà di pensiero, è l’ultima – e più importante – lezione di uno degli intellettuali più influenti della musica italiana.