
La recente polemica scatenata dalle affermazioni della ministra Roccella sui viaggi scolastici ad Auschwitz ha innescato un acceso dibattito e ha richiesto un chiarimento diretto con una delle voci più autorevoli e toccanti sulla Shoah, la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla deportazione.
La ministra ha sentito il bisogno di contattare telefonicamente la senatrice per affrontare la questione, manifestando la sua disponibilità a chiarire ulteriormente le sue posizioni in seno alla Commissione antisemitismo del Senato. La vicenda ha messo in luce una profonda divergenza di interpretazioni sul ruolo e sull’efficacia della memoria storica trasmessa attraverso le visite ai luoghi della sterminio e, più in generale, sulle radici e sulla percezione dell’antisemitismo nell’Italia contemporanea. Le parole uscite durante un convegno hanno creato notevoli perplessità, culminando in una replica ferma e significativa da parte della senatrice Segre.
L’origine delle polemiche: le “gite” ad Auschwitz
Le affermazioni controverse sono state pronunciate dalla ministra Roccella durante il convegno intitolato “La storia stravolta e il futuro da costruire“, organizzato dall’Unione delle comunità ebraiche italiane e svoltosi presso la sede del Cnel a Roma. Il nucleo della critica mossa dalla ministra non riguardava l’importanza della visita in sé, ma la sua presunta strumentalizzazione nel dibattito politico e storiografico italiano. Roccella ha provocatoriamente definito i viaggi di istruzione come “gite“, mettendo in discussione la profondità e lo scopo ultimo di queste esperienze formative. L’interrogativo centrale posto dalla ministra è stato: “A che cosa sono servite?“. Secondo la sua analisi, queste visite non sarebbero state promosse e valorizzate primariamente per la loro funzione di prevenzione dell’antisemitismo in tutte le sue forme, ma piuttosto perché servivano, in una sorta di paradosso storico, a circoscrivere e isolare il fenomeno antisemitico nel tempo e nello spazio.
La tesi di Roccella è che i viaggi ad Auschwitz abbiano contribuito a radicare l’idea che l’antisemitismo fosse un problema esclusivamente legato al fascismo e, per estensione, a una specifica epoca storica ormai conclusa. Questa narrazione, a suo avviso, avrebbe avuto l’effetto indesiderato di spostare il focus del problema: «Le gite ad Auschwitz secondo me sono state un modo per ribadire che l’antisemitismo era una questione fascista e basta». Di conseguenza, il dibattito si sarebbe concentrato più sull’essere antifascisti che sull’essere antisemiti, evitando così di «controllare fino in fondo quello che è avvenuto nel nostro passato» e di «fare i conti fino in fondo con quello che è avvenuto». In sintesi, la critica verteva sulla percezione che la commemorazione fosse stata usata per un alibi storico-politico, depotenziando la vigilanza sull’antisemitismo contemporaneo.
La reazione indignata di Liliana Segre
La senatrice a vita Liliana Segre, testimone vivente di quella tragedia, non ha tardato a esprimere la sua profonda indignazione e il suo sconcerto per le dichiarazioni della ministra. La sua replica è stata incisiva e ha messo in discussione non solo la terminologia utilizzata, “gite“, ritenuta profondamente inappropriata per un luogo di sterminio, ma anche l’interpretazione storiografica sottintesa. Segre ha dichiarato di stentare a credere che un ministro della Repubblica potesse sostenere che i viaggi di istruzione ad Auschwitz fossero stati incoraggiati per incentivare l’antifascismo, suggerendo un’accusa implicita di strumentalizzazione. L’uso della parola “gite” per descrivere viaggi in un luogo di morte di massa è stato percepito come una svalutazione dell’enorme peso emotivo e didattico dell’esperienza.
Nel merito della storia, Segre ha voluto ribadire la verità storica incontrovertibile, ricordando la natura del male che si è consumato ad Auschwitz: «Durante la seconda guerra mondiale, in tutta l’Europa occupata dalle potenze dell’Asse, i nazisti, con la collaborazione zelante dei fascisti locali – compresi quelli italiani della RSI – realizzarono una colossale industria della morte per cancellare dalla faccia della terra ebrei, rom e sinti e altre minoranze». Con questa precisazione, la senatrice ha riconfermato il legame tra fascismo e antisemitismo, senza però accettare l’idea che la memoria di Auschwitz possa essere ridotta a un mero espediente antifascista. L’obiettivo primario di quei viaggi, e della memoria in generale, è la conoscenza della storia nella sua cruda e dolorosa verità.
La conclusione della senatrice Segre ha rappresentato un monito potente sull’importanza della verità storica nella formazione delle nuove generazioni: «La formazione dei nostri figli e nipoti deve partire dalla conoscenza della storia. La memoria della verità storica fa male solo a chi conserva scheletri negli armadi». Questa frase sottolinea il valore catartico e morale della memoria, che non deve essere manipolata né interpretata per finalità politiche, ma accolta nella sua integralità per prevenire l’oblio e la ripetizione degli orrori.
Il gesto conciliatorio della ministra
A seguito della veemente reazione e delle numerose polemiche suscitate, la ministra Eugenia Roccella ha compiuto un passo formale per ricomporre la frattura. È stata lei a chiamare la senatrice a vita Liliana Segre nel pomeriggio successivo all’esplosione della polemica. Il contatto telefonico ha avuto l’obiettivo di chiarire direttamente la sua posizione e di esprimere la sua disponibilità al confronto. L’iniziativa della ministra è stata un tentativo di de-escalation, riconoscendo implicitamente la sensibilità e l’autorità morale della senatrice Segre sul tema.
Inoltre, Roccella ha manifestato la sua intenzione di chiarire e approfondire i contenuti del suo intervento in una sede istituzionale appropriata, ovvero la Commissione antisemitismo in Senato, dove è attesa per un intervento nei giorni successivi. Questo impegno a confrontarsi in un contesto istituzionale e specifico per la lotta all’odio razziale e all’antisemitismo indica la volontà di inquadrare la sua critica non come un attacco alla memoria, ma come un contributo a un dibattito sulla sua efficacia e sulla necessità di estendere la consapevolezza dell’antisemitismo al di là delle sue radici storiche, per riconoscerne le manifestazioni contemporanee. Il confronto in Commissione sarà cruciale per comprendere appieno le intenzioni della ministra e per valutare se la sua critica sulla strumentalizzazione della memoria possa conciliarsi con la sacralità dei luoghi e dell’esperienza ricordati da Liliana Segre e da tutti i sopravvissuti alla Shoah.